L'emissione della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente interrompe la prescrizione
In tema di responsabilità amministrativa degli enti, è il deposito della richiesta di rinvio a giudizio ad interrompere la prescrizione e non la notifica dell'atto (Cassazione penale, Sez. IV, 12 luglio 2019, n. 30634)
La Corte di Cassazione di recente si è pronunciata sulla prescrizione del reato contestato alla persona giuridica, ex D.Lgs. 231 del 2001.
La sentenza affronta la questione degli atti interruttivi delle prescrizione ed in particolare dell’individuazione del momento della produzione degli effetti interruttivi della contestazione, in quanto la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
Sul punto si sono formati due diversi orientamenti:
secondo un primo indirizzo, "In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231" (cfr. Sez. 2, n. 41012 del 20/06/2018, C, Rv. 27408304; Sez. 2, n. 10822 del 15/12/2011 - dep. 20/03/2012, Cerasino e altri, Rv. 256705).
Secondo altra parte della giurisprudenza, peraltro minoritaria, "In tema di responsabilità da reato degli enti, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione, in quanto atto di contestazione dell’illecito, solo se, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione, ai sensi dell'art. 11, primo comma, lett. r), L. 29 settembre 2000, n. 300, le norme del cod. civ. che regolano l'operatività dell'interruzione della prescrizione" (Sez. 6, n. 18257 del 12/02/2015 - dep. 30/04/2015, P.M. in proc. Buonamico e altri, Rv. 263171).
La sentenza in commento aderisce al primo orientamento, chiarendo che, sul punto, "deve considerasi risolutivo il rinvio dell’art. 59 del d.lgs n. 231 del 2011 all'art. 405 comma 1 cod. proc. pen., che individua fra gli atti di contestazione dell'illecito la richiesta di rinvio al giudizio, ovverosia un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti. Ed invero, "Il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consente di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo; del pari, non è consentito interpolare la norma riconducendo, come proposto dal ricorrente, l'effetto interruttivo alla notifica dell'avviso di udienza, ovvero ad un atto a cui la legge non riconosce tale effetto." Peraltro, "in tema dì interruzione della prescrizione del reato, va riconosciuta anche agli atti processualmente nulli la capacità di conseguire lo scopo. Gli atti interruttivi della prescrizione, infatti, hanno valore oggettivo, in quanto denotano la persistenza nello Stato dell'interesse punitivo (Cass. sez. 5, n. 1387 del 09/12/1998 - dep. 02/02/1999, M in proc. Verzelletti B ed altri, Rv. 212435)".
Anche nell'ipotesi di c.d. reato degli enti, continua la Corte, infatti, l'interruzione della prescrizione è posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato, sicché il regime non può che essere quello previsto per l'interruzione della prescrizione nei confronti dell'imputato e coincidere con l'emissione della richiesta di rinvio a giudizio, in modo del tutto indipendente dalla sua notificazione.
La scelta legislativa di far riferimento alla disposizione civilistica, lettera r) dell'art. 11 della legge delega n. 300/2000, anziché alle previsioni di cui all'art. 160 cod. pen., deriva dalla natura della pretesa punitiva che sanziona la violazione da parte dell'impresa di norme che implicano limiti di compatibilità dell'azione imprenditoriale con l'interesse generale come espresso dall'art. 41 Cost., il quale non può declinare di fronte al vantaggio dell'attività d'impresa.
Siffatta prevalenza determina la necessità del ricorso ad una normativa -quella civilistica, appunto- che renda indifferente il tempo del processo all'irrogazione della sanzione, al fine di non stravolgere priorità collettive, costituzionalmente garantite.
SENTENZA
Fatto
1. Con sentenza del 14 settembre 2017 il Tribunale di Rimini ha dichiarato non doversi procedere nei confronti della Coperture Edil s.r.l. per intervenuta prescrizione dell'illecito di cui all'art. 25 septies comma 2 d.lgs. 231/2001, in relazione al reato di cui all'art. 590, commi 2A e 3A cod. pen. commesso da H.T., committente dei lavori di risanamento conservativo di un fabbricato; R.C., legale rappresentante della Edil R.C., impresa affidataria dei lavori; M.D., Legale rappresentante della Coperture Edil s.r.l., M.P., preposto dell'Impresa affidataria dei lavori; G.R., responsabile dei lavori e coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione ed esecuzione, per avere i medesimi, ciascuno nella propria qualità, contribuito a cagionare, con violazione delle disposizioni di cui al d.lgs. 81/2008, lesioni personali gravi ad A.A..
2. La sentenza: dato atto che il termine di prescrizione di cui all'art. 22 d.lgs. 231/2001, regolante la disciplina della prescrizione dell'illecito amministrativo, dipendente da reato dell'ente, è di cinque anni, a far data dalla commissione dell'illecito e che il secondo comma della disposizione dispone che detto termine si interrompa a seguito della contestazione dell'illecito amministrativo fatta a norma dell'art. 59 d.lgs. 231/2001; richiamata la giurisprudenza di legittimità -secondo cui la richiesta di rinvio a giudizio, in quanto atto di contestazione dell’illecito, produce l'effetto interruttivo solo se, oltre che i emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo applicarsi, ai sensi dell'art. 11, primo comma, lett. r), L. 29 settembre 2000, n. 300, le norme del codice civile sull’interruzione della prescrizione (Cass. pen. Sez. 6, n. 18257 del 12/02/2015 - dep. 30/04/2015, P.M. in proc. Buonamico e altri, Rv. 263171); rilevato che nel caso di specie il decreto di rinvio a giudizio è stato ritualmente notificato solo oltre detto termine, ha dichiarato l'illecito contestato estinto per prescrizione.
3. Avverso la sentenza del Tribunale ricorre il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Rimini, formulando un unico motivo.
4. Con la doglianza fa valere la violazione della legge penale in relazione alla data di prescrizione dell'illecito contestato alla società Coperture Edil s.r.l., con riferimento agli artt. 22 e 59 d.lgs. 81/2001. Osserva che fra la data di commissione del fatto - 15 luglio 2009- e la data di notifica dell'ultimo decreto di citazione in giudizio - 19 novembre 2015- sono decorsi effettivamente più di cinque anni, ma che detta ultima notificazione è stata preceduta dalla notifica del 27 maggio 2013, disposta a seguito della prima udienza dibattimentale, nel corso della quale era stata eccepita la nullità della notifica del decreto di citazione in giudizio del 14 febbraio 2013. Deduce che la notificazione del decreto di citazione del 27 maggio 2013 alla società è intervenuta ritualmente, avendo l'ente eletto domicilio presso il difensore, ma che all'udienza del 25 novembre il medesimo difensore eccepiva l'omessa notifica al difensore d'ufficio della società e che il Tribunale, accogliendo l'eccezione disponeva la separazione della posizione della società, rimettendo gli atti al Procuratore della Repubblica, che provvedeva all'emissione di nuovo decreto di rinvio a giudizio, ritualmente notificato il 19 novembre 2015. Sostiene che la natura civilistica dell'istituto della prescrizione dell'illecito amministrativo, impone di ritenere che la prescrizione si sia interrotta una prima volta in data 27 maggio 2013, ed una seconda volta in data 19 novembre 2015, entro il quinquennio. Invero, le notifiche regolari dell'atto di citazione, in quanto contenenti gli estremi dell'addebito, se non consentono il corretto esplicarsi del diritto di difesa nel procedimento sanzionatorio, allorquando sia omessa la notifica al difensore della persona giuridica, nondimeno, instaurano nei suoi confronti il rapporto processuale. Richiama la giurisprudenza penalistica e del lavoro, secondo cui la domanda giudiziale invalida riveste la natura di atto di costituzione in mora, avente efficacia interruttiva della prescrizione, che dimostra, ancorché non perfettamente in termini, che il vizio dell'omessa notifica al difensore, in quanto vizio processuale, non si ripercuote sulla natura sostanziale del decreto di citazione, idoneo ad interrompere la prescrizione.
Conclude per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Diritto
1. Prima di affrontare il tema proposto con il ricorso, va ricordato che, ai sensi dell'art. 22 del d.lgs. 231/2001, le sanzioni amministrative per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione e che sono interruttive della prescrizione "la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell'illecito amministrativo a norma dell' articolo 59". Siffatta ultima disposizione prevede che la contestazione debba essere formulata con uno degli atti di cui all'art. 405 comma 1 cod. proc. pen., e debba comprendere "gli elementi identificativi dell'ente, l'enunciazione in forma chiara e precisa, del fatto che può comportare l'applicazione delle sanzioni amministrative, con l'indicazione del reato da cui dipende l'illecito, dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova".
2. La questione preliminare da affrontare, in questa sede, riguarda l'individuazione del momento della produzione degli effetti interruttivi della contestazione, posto che la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente, interrompe la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231. (Sez. 5, n. 50102 del 22/09/2015 - dep. 21/12/2015, D'Errico e altro, Rv. 26558801)
3. Ora, da un lato, si è sostenuto che "In tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche, la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente, in quanto atto di contestazione dell'illecito, interrompe, per il solo fatto della sua emissione, la prescrizione e ne sospende il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, ai sensi degli artt. 59 e 22, commi 2 e 4, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231" (cfr. Sez. 2, n. 41012 del 20/06/2018, C, Rv. 27408304; Sez. 2, n. 10822 del 15/12/2011 - dep. 20/03/2012, Cerasino e altri, Rv. 256705). Dall'altro, con la pronuncia richiamata dalla sentenza gravata, rimasta per la verità isolata, si affermato che: "In tema di responsabilità da reato degli enti, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica interrompe il corso della prescrizione, in quanto atto di contestazione dell’illecito, solo se, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione, ai sensi dell'art. 11, primo comma, lett. r), L. 29 settembre 2000, n. 300, le norme del cod. civ. che regolano l'operatività dell'interruzione della prescrizione. (Sez. 6, n. 18257 del 12/02/2015 - dep. 30/04/2015, P.M. in proc. Buonamico e altri, Rv. 263171).
4. Secondo il primo orientamento deve considerasi risolutivo il rinvio dell’art. 59 del d.lgs n. 231 del 2011 all'art. 405 comma 1 cod. proc. pen., che individua fra gli atti di contestazione dell'illecito la richiesta di rinvio al giudizio, ovverosia un atto la cui efficacia prescinde dalla notifica alle parti. Ed invero, "Il richiamo che la legge delega effettua alle norme del codice civile non consente di trasformare la richiesta di rinvio a giudizio in un atto recettizio, in assenza di ogni indicazione normativa al riguardo; del pari, non è consentito interpolare la norma riconducendo, come proposto dal ricorrente, l'effetto interruttivo alla notifica dell'avviso di udienza, ovvero ad un atto a cui la legge non riconosce tale effetto." Peraltro, "in tema dì interruzione della prescrizione del reato, va riconosciuta anche agli atti processualmente nulli la capacità di conseguire lo scopo. Gli atti interruttivi della prescrizione, infatti, hanno valore oggettivo, in quanto denotano la persistenza nello Stato dell'interesse punitivo (Cass. sez. 5, n. 1387 del 09/12/1998 - dep. 02/02/1999, M in proc. Verzelletti B ed altri, Rv. 212435)".
5. Al contrario, la seconda linea interpretativa valorizza la lettera dell'art. 11 della legge delega n. 300/2000, per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. La disposizione alla lett. r) espressamente stabilisce di "prevedere che le sanzioni amministrative di cui alle lettere g), i) e l) si prescrivono decorsi cinque anni dalla consumazione dei reati indicati nelle lettere a), b), c) e d) e che l'interruzione della prescrizione è regolata dalle norme del codice civile".
6. Ebbene, l'esito cui giunge il primo orientamento riportato deve essere condiviso.
6.1. Anche nell'ipotesi di c.d. reato degli enti, infatti, l'interruzione della prescrizione è posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato, sicché il regime non può che essere quello previsto per l'interruzione della prescrizione nei confronti dell'imputato e coincidere con l'emissione della richiesta di rinvio a giudizio, in modo del tutto indipendente dalla sua notificazione.
Il rinvio alla lettera r) dell'art. 11 della legge delega n. 300/2000 alle norme del codice civile, con cui l'efficacia interruttiva della prescrizione viene ricollegata, dall'Indirizzo minoritario, alla notificazione della richiesta di rinvio a giudizio (o più in generale dell'atto di contestazione), che peraltro manca di esplicita attuazione, va nondimeno inteso facendo riferimento al regime previsto dall'art. 2945, comma 2A, cod. civ., nel senso che una volta interrotta la prescrizione, con l'emissione della richiesta di rinvio a giudizio, essa 'non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio'. Il che nulla a che fare con il momento della produzione degli effetti dell'atto interruttivo, ma solo con il contenuto di quegli effetti, rispetto ai quali, diversamente da quanto previsto per la prescrizione del reato con l'art. 160 cod. pen., l'interruzione impedisce la decorrenza del termine prescrizionale fino a che il giudizio non sia terminato.
7. La scelta legislativa di far riferimento alla disposizione civilistica, anziché alle previsioni di cui all'art. 160 cod. pen., deriva dalla natura della pretesa punitiva che sanziona la violazione da parte dell'impresa di norme che implicano limiti di compatibilità dell'azione imprenditoriale con l'interesse generale, come espresso dall'art. 41 Cost., il quale non può declinare di fronte al vantaggio dell'attività d'impresa. Siffatta prevalenza determina la necessità del ricorso ad una normativa -quella civilistica appunto- che renda indifferente il tempo del processo all'irrogazione della sanzione, al fine di non stravolgere priorità collettive, costituzionalmente garantite.
8. Il ricorso deve essere, dunque, accolto con rinvio alla Corte di appello di Bologna per l'ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna per l'ulteriore corso. Così deciso il 9 aprile 2019