La mera vendita di un bene immobile non integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte

8 Febbraio 2021

La mera vendita di un bene immobile non integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, ma deve essere fatta una valutazione concreta ed effettiva e con accertamento ex ante del carattere simulato e/o fraudolento dell'atto dispositivo, valutazione che deve fondarsi su altre circostanze, quali: i rapporti con le controparti negoziali, il prezzo pagato, le modalità di pagamento, la consistenza del patrimonio del contribuente.

(Cass. Penale Sez. 3 numero 4425 anno 2021- Presidente Grazia Lapalorcia - Relatore Gai Emanuela; Udienza 28.10.2020)

COMMENTO

Indice dell’articolo:

  1. I principi enunciati dalla Cassazione: sinossi
  2. Il fatto
  3. I passaggi della sentenza

 

  1. I principi enunciati dalla Cassazione: sinossi

La sentenza in commento ha chiarito che:

  1. per affermare la sussistenza del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte non è sufficiente accertare l’idoneità degli atti a mettere in pericolo la possibilità di recupero del credito da parte dell’Erario, ma è invece necessario indagare l’effettiva fraudolenza delle operazioni compiute;
  2. l’indagine richiede una valutazione concreta ed effettiva e con accertamento ex ante del carattere simulato e/o fraudolento dell'atto dispositivo, valutazione che deve fondarsi su altre circostanze, quali: i rapporti con le controparti negoziali, il prezzo pagato, le modalità di pagamento, la consistenza del patrimonio del contribuente.

2. Il fatto 

Il contribuente era accusato di avere compiuto atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione delle imposte mediante l'alienazione di due immobili, in data 08/04/2011 e 29/06/2011. La Corte di Appello, disattendendo un orientamento pacifico (Cass. SS. UU., sent. n. 12213 del 16.3.2018), aveva desunto la natura fraudolenta degli atti di alienazione di immobili di proprietà dell'imputato, dalla loro capacità di compromettere il soddisfacimento del diritto di credito dell'erario, senza indagare il carattere simulato e/o fraudolento dell'atto dispositivo – non aveva cioè indagato, ottenendo prova rigorosa, sull’effettiva fraudolenza connotata da elementi di inganno o di artificio volto a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione

3. I passaggi delle sentenza 

Si tratta di una pronuncia coerente con decisioni precedenti, che hanno escluso la possibilità di desumere la prova della natura simulata dell'atto di alienazione dalla sua capacità di ostacolare l'azione di recupero dell'amministrazione finanziaria, anche qualora gli atti negoziali siano stati posti in essere dopo la notifica di cartelle esattoriali (Cass. sent. n. 29639 del 2.7.2018).

Secondo la Cassazione, l'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall'art. 29, comma 4, d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, sanziona, alternativamente, la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte (sui redditi o sul valore aggiunte o di interessi o sanzioni relativi a tali imposte),

 sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Attraverso l'incriminazione della condotta prevista, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell'erario ( e l'oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell'obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell'imposta e dei relativi accessori).

Si tratta   di un reato di reato di pericolo concreto, integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare - secondo un giudizio "ex ante" - l'attività recuperatoria della amministrazione finanziaria.

Quanto alla condotta del reato, accanto all'alienazione simulata, il legislatore ha individuato l'ulteriore condotta del compimento di «altri atti fraudolenti», diversi dalla alienazione simulata, la cui idoneità a sottrarre i beni al pagamento del debito tributario è stata valutata dal legislatore in via generale e astratta, la cui natura fraudolenta diretta a sottrarre il bene al pagamento delle imposte deve caratterizzare l'atto. Non v'è dubbio che nel novero degli «altri atti fraudolenti» debbano essere ricompresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni (sparizione materiale di un bene senza alienazione), ma anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a sottrarre beni al pagamento delle imposte.

Sulla nozione di atto fraudolento sono intervenute le S.U. n. 12213/2018 che hanno testualmente affermato che « deve essere considerato atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale «ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798)».

Con particolare riferimento all’alienazione di beni – che interessa il caso oggetto della pronuncia in commento – la Cassazione si conforma all’orientamento prevalente secondo cui gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei a eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione (Cass. n. 29636/2018). Tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell’eventuale compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato.

Nel caso in esame, i giudici di merito non si sono, tuttavia, attenuti ai principi enunciati dalla citate Sezioni Unite e dalla richiamata giurisprudenza di legittimità. Non risulta, infatti, adeguatamente illustrato il requisito della natura fraudolenta delle operazioni compiute, che – come detto – non può essere ritenuta implicita nella sola idoneità degli atti a mettere in pericolo l’azione di recupero del bene da parte dell’Erario. Viene, cioè, ribadito che l’attitudine fraudolenta degli atti di alienazione, penalmente rilevante, non può ritenersi connaturata alla natura degli atti stessi, ovvero discendere “automaticamente” dalla sussistenza di un atto di vendita; va, invece, concretamente indagato il profilo della fraudolenza, sulla base dell’eventuale compiacenza delle controparti negoziali, del prezzo pagato, delle modalità di pagamento, ecc.

 

Cass. Penale Sez. 3 numero 4425 anno 2021- Presidente Grazia Lapalorcia - Relatore Gai Emanuela; Udienza 28.10.2020

RITENUTO IN FATTO

  1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale della medesima città con la quale l'imputato era stato condannato, alla pena di anni uno di reclusione, perché ritenuto responsabile del reato di cui all'art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74, per avere compiuto atti fraudolenti idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione delle imposte mediante l'alienazione di due immobili, in data 08/04/2011 e 29/06/2011.
  2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l'imputato, a mezzo del difensore, e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.

2.1.        Con il primo motivo denuncia la violazione ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. c) e d) cod.proc.pen., in relazione all'art. 495 comma 2 cod.proc.pen.t  violazione del diritto alla prova a discarico e art. 111 Cost. Nullità dell'ordinanza di revoca delle prove già ammesse per difetto di motivazione.

La corte territoriale avrebbe ritenuto corretta l'ordinanza di revoca delle prove ammesse (testimonianza-— ) sul rilievo della mancata conoscibilità delle circostanze sulle quali i testimoni avrebbero dovuto deporre, e così avrebbe violato il diritto alla controprova in quanto queste erano state legittimamente ammesse e la revoca era stata illegittima, comportando, quale conseguenza, la mancata assunzione di una prova decisiva.

2.2.        Con il secondo motivo denuncia la violazione ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. c), d) ed e) cod.proc.pen., in relazione agli artt. 190, 495, 507 e 603 cod.proc.pen, per la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'assunzione delle testimonianze di   Indicati nella lista ex art. 495 cod.proc.pen. e illegittimamente revocati. La Corte d'appello avrebbe respinto la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale disattendendo il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui, in caso di prova illegittimamente revocata, la Corte d'appello ha l'obbligo di rinnovare l'istruttoria dibattimentale nei limiti previsti dall'art. 495 comma 2 cod.proc.pen.

2.3.        Con il terzo motivo denuncia la violazione ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen., in relazione all'erronea applicazione della legge penale, art. 11 d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 e vizio di motivazione.

La Corte d'appello avrebbe disatteso il dictum delle Sezioni Unite n. 12213 del 2018, che ai fini della configurazione del reato contestato, hanno affermato che non è sufficiente la semplice idoneità dell'atto ad ostacolare l'azione di recupero del bene da parte dell'erario, essendo necessario il compimento di atti che, nell'essere diretti a questo fine, si caratterizzino per la loro natura simulatoria o fraudolenta. La corte territoriale avrebbe ritenuto connaturata alla natura degli atti di alienazione la dimostrazione della fraudolenza.

2.4.        Con il quarto motivo denuncia la violazione ai sensi dell'art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen., in relazione agli artt. 133, 163, 165 cod.pen. e 597 comma 5 cod.proc.pen. La corte territoriale non avrebbe esposto le ragioni per le quali, a fronte della richiesta di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, irrogata nei limiti per cui è consentita, non era stato riconosciuto il suddetto beneficio. Chiede che la Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 620 lett. l) cod.proc.pen. annulli senza rinvio la sentenza impugnata concedendo all'imputato il suddetto beneficio.

  1. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Sono manifestamente infondati il primo e secondo motivo di ricorso.

Dalla sentenza di primo grado risulta che, nella fase di ammissione delle prove, non erano stati ammessi alcuni testimoni della difesa, ad esclusione di due, nonché il consulente tecnico in quanto sovrabbondanti, giacchè l'esame verteva sulle stesse circostanze di fatto capitolate in modo generico e irrilevanti per il decidere (cfr. pag. 3 della sentenza del tribunale).

La censura non coglie nel segno dal momento che non si verte in una ipotesi di ordinanza di revoca di testimoni, bensì di ordinanza che, ai sensi dell'art. 495 cod.proc.pen., non aveva ammesso i testimoni e il consulente tecnico in quanto il loro esame era ritenuto sovrabbondante e su circostanze irrilevanti ai fini del decidere.

Con una risalente pronuncia è stato affermato che il diritto alla prova contraria garantito all'imputato può essere denegato, con adeguata motivazione dal giudice solo quando le prove richieste sono manifestamente superflue o irrilevanti (Sez. 6, n. 761 del 10/10/2006, Randazzo, Rv. 235598 - 01), situazione verificatasi nel caso in esame, avendo il giudice espressamente ritenuto le prove dedotte irrilevanti al fine del decidere, motivazione rispetto la quale il ricorrente non si confronta spostando il fulcro della censura. L'irrilevanza dell'assunzione delle prove non ammesse, da cui la ritenuta non indispensabilità per il decidere, comporta altresì l'assenza dei presupposti per l'invocata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale.     

  1. Il terzo motivo di ricorso è fondato e il suo accoglimento comporta il rilievo della prescrizione del reato intervenuta nelle more del giudizio di legittimità.

Come è noto, l'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, come sostituito dall'art. 29, comma 4, d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 30 luglio 2010, sanziona, alternativamente, la condotta di chi, allo scopo di sottrarsi al pagamento di imposte (sui redditi o sul valore aggiunte o di interessi o sanzioni relativi a tali imposte), aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Attraverso l'incriminazione della condotta prevista, il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell'erario (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077, secondo cui l'oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell'obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell'imposta e dei relativi accessori). Parimenti la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nel ritenere la natura di reato di pericolo concreto della fattispecie in esame (cfr. da ultimo, Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648, che ha affermato che il delitto in questione è reato di pericolo, integrato dall'uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare - secondo un giudizio "ex ante" - l'attività recuperatoria della amministrazione finanziaria; nonché, Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv.266771, con richiami ai numerosi precedenti conformi),

Quanto alla condotta del reato, accanto all'alienazione simulata, il legislatore ha individuato l'ulteriore condotta del compimento di «altri atti fraudolenti», diversi dalla alienazione simulata, la cui idoneità a sottrarre i beni al pagamento del debito tributario è stata valutata dal legislatore in via generale e astratta, la cui natura fraudolenta diretta a sottrarre il bene al pagamento delle imposte deve caratterizzare l'atto. Non v'è dubbio che nel novero degli «altri atti fraudolenti» debbano essere ricompresi sia atti materiali di occultamento e sottrazione dei propri beni (sparizione materiale di un bene senza alienazione), O ma anche atti giuridici diretti, secondo una valutazione concreta, a sottrarre beni al pagamento delle imposte.

Sulla nozione di atto fraudolento sono intervenute le S.U. n. 12213/2018 che hanno testualmente affermato che «Con riguardo alla nozione di "atto fraudolento" contenuta nella disposizione dell'art. 11 d. lgs. n. 74 del 2000, laddove, con terminologia mutuata dall' art. 388 cod. pen., si sanziona la condotta di chi, <<al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o su valore aggiunto [. . . j aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva», questa Corte ha osservato che deve essere considerato atto fraudolento «ogni comportamento che, formalmente lecito (analogamente, del resto, alla vendita di un bene), sia tuttavia caratterizzato da una componente di artifizio o di inganno» (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Caneva, Rv. 252996), ovvero che è tale «ogni atto che sia idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente al vero (per la verità con una sovrapposizione rispetto alla simulazione) ovvero qualunque stratagemma artificioso tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali alla riscossione» (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 2017, Di Tullio, Rv. 268798)».

Con particolare riferimento all'alienazione di beni, questa Terza sezione della Corte di cassazione ha affermato che in tema di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte,  gli atti dispositivi compiuti dall'obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l'esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta, ai sensi dell'art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, allorquando, pur determinando un trasferimento effettivo del bene, siano connotati da elementi di inganno o di artificio, cioè da uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione (Sez. 3, n. 29636 del 02/03/2018, Auci, Rv. 273493 01). Sempre in tema, si è chiarito che la nozione di "atti fraudolenti", rilevante ai fini del presente giudizio, secondo un ormai consolidato indirizzo ermeneutico (Sez. 3, n. 25677 del 16/05/2012, Rv. 252996), comprende tutti quei comportamenti che, quand t anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l'esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all'esecuzione, rilevando, tra i possibili indicatori della fraudolenza, la prova dell'eventuale compiacenza degli acquirenti, la congruità del prezzo pagato.

  1. Nel caso in esame, la sentenza impugnata non si è attenuta al dictum delle citate Sezioni Unite e dei principi espressi dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. Non risulta adeguatamente illustrato il requisito della natura fraudolenta delle operazioni compiute, che come detto, non può essere ritenuta implicita nella sola idoneità degli atti a mettere in discussione la possibilità di recupero del credito da parte dell'Erario. La sentenza impugnata si pone esplicitamente in dissenso dei principi espressi dalla giurisprudenza anche nella sua massima espressione, dal momento che ritiene latitudine fraudolenta degli atti di alienazione sia connaturata alla natura degli atti stessi (atti di vendita di beni immobili) rinunciando così ad indagare il profilo della fraudolenza (prova dell' eventuale compiacenza delle controparti negoziali, prezzo pagato, modalità di pagamento ).

La sentenza va, pertanto, annullata. L'annullamento va, tuttavia, disposto senza rinvio poiché nelle more del giudizio di legittimità è maturata la prescrizione del reato (al 25/10/2019 e 2/11/2019 anche computato il periodo di sospensione del corso della prescrizione).

Il rilevamento in sede di legittimità della sopravvenuta prescrizione del reato unitamente ad un vizio di motivazione della sentenza di condanna impugnata in ordine alla responsabilità dell'imputato comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza stessa (Sez. 4, n. 29627 del 21/04/2016/ Silva, Rv. 267844; Sez. 2, n.32577 del 27/04/2010, Preti, Rv. 247973).

Il quarto motivo è assorbito dall'accoglimento del terzo.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

Così deciso il 28/1 /2020