Coronavirus: Inail: è infortunio anche per gli infermieri no vax che restano contagiati
Gli operatori sanitari che rifiutano il vaccino e poi si contagiano con il Covid 19 hanno comunque diritto all'infortunio sul lavoro se il contagio risulta in occasione di lavoro ( lettera INAIL a Direzione regionale Liguria)
Inail interviene su una questione di estrema rilevanza rispondendo con una lettera alla Direzione regionale della Liguria sul caso degli infermieri che avevano rifiutato di sottoporsi al vaccino e poi si erano contagiati.
Il comportamento colposo del lavoratore che rifiuta il vaccino non comporta esclusione della tutela assicurativa perché la scelta di non vaccinarsi è solo una delle concause dell'evento e non comporta certo l'esclusione dell'operatività dell'indennizzo INAIL dato che l'unica causa di esclusione è l'assenza "dell'occasione di lavoro".
Infermieri e operatori sanitari che rifiutano di vaccinarsi ma poi si contagiano con il coronavirus hanno comunque diritto all'infortunio sul lavoro, se il contagio risulta avvenuto in questo contesto.
"Sotto il profilo assicurativo il comportamento colposo del lavoratore, in cui rientra anche la violazione dell'obbligo di utilizzare i dispositivi di protezione individuale, non comporta di per sé l'esclusione dell'operatività della tutela prevista dall'assicurazione gestita dall'Inail". In merito ai comportamenti colposi per violazione delle norme di sicurezza sul lavoro, secondo la giurisprudenza, anche se ovviamente la violazione di norme anti-infortunistiche da parte del lavoratore va considerata un comportamento illecito, "l'illiceità del comportamento non preclude comunque in alcun modo la configurabilità dell'infortunio come evento indennizzabile, in quanto la colpa dell'assicurato costituisce una delle possibili componenti causali del verificarsi dell'evento".
L'Inail sottolinea infine che non appare nemmeno ipotizzabile, nel caso in cui si rifiuti il vaccino, "l'applicazione del concetto di rischio elettivo", elaborato dalla giurisprudenza per delimitare sul piano oggettivo l'occasione di lavoro e, dunque, il concetto di rischio assicurato o di attività protetta. Come è noto affinché sia escluso il diritto del lavoratore al risarcimento danni civilistico e alle prestazioni assicurative dell’Inail è necessario che l’infortunio sia stato causato da un rischio elettivo. Per infortunio causato da rischio elettivo si intende l’incidente conseguente un rischio collegato a un comportamento volontario del dipendente, che non abbia nessun rapporto con lo svolgimento dell’attività lavorativa, che sia irrazionale, non prevedibile dal datore e destinato a soddisfare bisogni personali e indipendenti dal lavoro (Cassazione civile sentenza n.17917 del 2017). Ossia, si parla di rischio elettivo, quando l’infortunio è provocato da una condotta personale e volontaria del lavoratore, avulsa dall’attività lavorativa, intrapresa per ragioni puramente personali, al di fuori dalla prestazione lavorativa, e idonea a interrompere il nesso causale tra la prestazione e l’attività assicurata (Cassazione Civile, Sez. Lav., 26 aprile 2017, n. 10319).
E tuttavia , precisa INAIL "Il rischio di vaccinarsi - spiegano all'Inail - non si può configurare come assunzione di un rischio elettivo, in quanto il rischio di contagio non è certamente voluto dal lavoratore". Inoltre, "non si rileva allo stato dell'attuale legislazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un obbligo specifico di aderire alla vaccinazione da parte del lavoratore".
Non scontato invece il risarcimento da parte del datore di lavoro.
Il dipendente potrebbe però non avere il diritto di chiedere il risarcimento del danno al datore di lavoro nel caso in cui abbia rifiutato il vaccino e si sia contagiato. "Il comportamento colposo del lavoratore può invece ridurre oppure escludere la responsabilità del datore di lavoro - chiarisce infatti il documento -, ma non comporta l'esclusione della tutela assicurativa apprestata dall'Istituto in caso di infortunio".
E’ noto che per quanto riguarda invece il risarcimento da parte del datore di lavoro, come ribadito in più sentenze dalla Cassazione penale, tra cui la n.17163 del 2017, la condotta del lavoratore, seppur imprudente, non esclude la responsabilità dei soggetti tenuti a garantire l’attuazione della normativa antinfortunistica; in quanto il nesso di causa tra la violazione e l’evento dannoso può essere escluso solamente quando le lesioni o la morte siano conseguenza di un comportamento abnorme ed eccezionale del danneggiato.Il datore di lavoro è infatti obbligato a adottare tutte le misure necessarie per garantire l’incolumità e la salute dei lavoratori. Le norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro inoltre, sono dettate per tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti conseguenti una sua disattenzione, ma anche da quelli derivanti da imperizia, negligenza ed imprudenza di quest’ultimo. Quindi, il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio, sia quando omette di adottare tutte le misure protettive necessarie, sia quando non accerta e vigila sull’effettivo uso di queste da parte del lavoratore dipendente (Cassazione sentenze n.5493 del 2006 e n.1949 del 2009).
E tuttavia secondo quanto stabilito dall’articolo 1227 del Codice civile, se la condotta colposa del danneggiato ha concorso a provocare il danno, il risarcimento in sede civile deve essere ridotto in base alla percentuale di responsabilità addebitata; avendo chiaro che ai fini civilistici, non si può parlare di concorso di colpa quando il datore di lavoro abbia adottato disposizioni illegali e contrarie alle regole di prudenza ( e così secondo la Cassazione Civile Sezione lavoro, nella sentenza n.30679 del 2019, non esiste concorso di colpa nell’illecito quando l’evento dannoso è causato dalla mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure tipiche o atipiche di prevenzione, che avrebbero molto probabilmente impedito l’incidente).