Condotta abnorme del lavoratore e non necessità di natura sistematica delle violazioni per responsabilità 231
Cassazione Penale, Sez. 4, 31 marzo 2021, n. 12149
Sulla nozione di condotta abnorme del lavoratore in materia di sicurezza sul lavoro
l'art. 25-septies cit. non richiede la natura sistematica delle violazioni alla normativa antinfortunistica per la configurabilità della responsabilità dell'ente derivante dai reati colposi ivi contemplati.,
COMMENTO
IL FATTO
Si è contestato al R., nella qualità di direttore generale dell'ente amministrativamente responsabile, nonché addetto alla produzione e datore di lavoro della persona offesa, di avere cagionato a quest'ultima le lesioni gravi descritte in imputazione (esitate nell'amputazione dell'avampiede destro), per negligenza, imprudenza e imperizia e per inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro [in particolare, dell'art. 71, c. 1, 3, 4 e 7 del T.U. n. 81/2008, in relazione ai punti 3.1.1. e 3.1.4. all. VI del T.U. e dell'art. 73, c. 1, lett. a) e b) stesso T.U., in relazione ai punti 3.1.5, 3.2.4. e 3.2.5 all. VI citato], per avere disposto o comunque consentito l'utilizzo di un carrello elevatore per operazioni per le quali non era indicato (sollevamento di un fascio di colonne metalliche lunghe quasi quattro metri e pesanti ciascuna Kg. 678), senza fornire attrezzature o accessori necessari per un uso in sicurezza, essendo stato il mezzo utilizzato a guisa di gru/paranco, e non per la movimentazione di carichi pallettizzati, e senza utilizzo di ganci in grado di trattenere il carico; e per non avere impartito ai lavoratori idonee istruzioni per l'uso del carrello di che trattasi in relazione alle modalità d'imbraco e ai sistemi di ancoraggio, onde assicurare la stabilità del carico e scongiurare la prossimità di lavoratori a terra, anche in situazioni anomale ma prevedibili (quale l'utilizzo del carrello per sollevare lunghe colonne metalliche).
Nella specie, durante la movimentazione di un fascio di quattro colonne metalliche con le caratteristiche sopra descritte, eseguita imbracando il carico con una fascia di tessuto, le cui estremità a occhiello venivano infilate in una delle zanche sollevate del carrello, il V.M. era intento a tenere in equilibrio e orientare manualmente il carico da terra, mentre il collega T. si trovava alla guida del carrello. All'improvviso, una estremità della fascia di imbraco era fuoriuscita dalla zanca, facendo cadere a terra il carico che investiva il V.M. al piede destro, determinando le descritte conseguenze lesive.
I PRINCIPI ENUNCIATI
La sentenza in commento ha chiarito quanto alla responsabilità del datore di lavoro per fatto colposo del lavoratore:
- In materia di prevenzione antinfortunistica, infatti, si è passati da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori (non soltanto fornendo i dispositivi di sicurezza idonei, ma anche controllando che di questi i lavoratori facessero un corretto uso, imponendosi contro la loro volontà), ad un modello "collaborativo" in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori, in tal senso valorizzando il testo normativo di riferimento (cfr. art. 20 d. lgs. 81/2008 ) il quale impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e agire con diligenza, prudenza e perizia (cfr., sul punto, sez. 4 n. 8883del 10/2/2016, Santini e altro, Rv. 266073).
- Si è passati dal principio "dell'ontologica irrilevanza della condotta colposa del lavoratore" al concetto di "area di rischio": il DDL deve valutare in via preventiva l’area di rischio; all’interno di quell’area non vi può essere esonero di responsabilità per il DDL perché in quell’area si colloca l'obbligo datoriale di assicurare condizioni di sicurezza appropriate anche in rapporto a possibili comportamenti trascurati del lavoratore
- La condotta del lavoratore è abnorme ed idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo, non tanto ove sia imprevedibile, quanto, piuttosto, ove sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia;
- È altresì abnorme la condotta che sia stata posta in essere del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli e, come tale, al di fuori di ogni prevedibilità da parte del datore di lavoro, oppure vi rientri, ma si sia tradotta in qualcosa che, radicalmente quanto ontologicamente, sia lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro.
La sentenza in commento ha chiarito quanto alla responsabilità 231 dell’ente:
- Che si tratta di un tertium genus di responsabilità;
- quanto, poi, ai criteri d'imputazione oggettiva della responsabilità dell'ente (l'interesse o il vantaggio di cui all'art. 5 del d. lgs. 231 del 2001), essi sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il primo esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo; il secondo ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito.
- la colpa di organizzazione nei reati colposi deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall'inottemperanza da parte dell'ente dell'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individua i rischi e delinea le misure atte a contrastarli;
- i criteri di imputazione oggettiva di che trattasi vanno riferiti alla condotta del soggetto agente e non all'evento, in conformità alla diversa conformazione dell'illecito, essendo possibile che l'agente violi consapevolmente la cautela, o addirittura preveda l'evento che ne può derivare, pur senza volerlo, per corrispondere ad istanze funzionali a strategie dell'ente.
- vi è perfetta compatibilità tra inosservanza della prescrizione cautelare ed esito vantaggioso per l'ente;
- la giurisprudenza ha elaborato il significato dei due concetti:
- per esempio, che esso può essere ravvisato nel risparmio di risorse economiche conseguente alla mancata predisposizione dei procedimenti e dei presidi di sicurezza;
- nell'incremento economico conseguente all'incremento della produttività non ostacolata dal rispetto della normativa prevenzionale;
- nel risparmio sui costi di consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e informazione del personale;
- o, ancora, nella velocizzazione degli interventi di manutenzione e di risparmio sul materiale.
- Esso, quindi, va inteso non solo come
- risparmio di spesa conseguente alla mancata predisposizione del presidio di sicurezza,
- ma anche come incremento economico dovuto all'aumento della produttività non rallentata dal rispetto delle norma cautelare; vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l'azione dell'uno (persona fisica) all'interesse dell'altro.
- Di recente la Suprema Corte ha ritagliato concreti criteri di giudizio in ordine all'esatta individuazione dei parametri di imputazione oggettiva, avuto riguardo alla rilevanza o meno del connotato di sistematicità delle violazioni, in tema di verifica del parametro oggettivo d'imputazione, sì da scongiurare una lettura della norma di cui all'art. 25-septies cit. secondo cui l'affermazione della responsabilità dell'ente consegue indefettibilmente, una volta dimostrati il reato presupposto e il rapporto di immedesimazione organica dell'agente; il criterio di imputazione oggettiva dell'interesse può sussistere, infatti, anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta a un'iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l'interesse dell'ente (cfr. sez. 4, n. 29584 del 22/9/2020, F.lli Cambria S.p.A, Rv. 279660). L'intero discorso, in realtà, attiene al piano prettamente probatorio, cui tale connotato appartiene, quale possibile indizio della esistenza dell'elemento finalistico della condotta dell'agente, idoneo al tempo stesso a scongiurare il rischio di far coincidere un modo di essere dell'impresa con l'atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica. Ne deriva, quale logico corollario, che l'interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata, allorché altre evidenze fattuali dimostrino tale collegamento finalistico, così neutralizzando il valore probatorio astrattamente riconoscibile al connotato della sistematicità (cfr. in motivazione sez. 4 n. 29584/2020 cit.).