Sollevamento e movimentazione con gru di pancali senza l’utilizzo di funi o aste di guida: quando il datore di lavoro risponde penalmente per l’infortunio occorso al dipendente
Il datore di lavoro può potenziare la sicurezza di un macchinario o di una procedura di utilizzo dello stesso, ma deve comunque informare i lavoratori che operano sul macchinario, istruendoli sulle modalità del suo utilizzo e sulle prescrizioni contenute nel manuale di funzionamento e descritte dal costruttore (Cassazione penale, Sez. Fer., 27.08.2019, n. 45719).
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha affermato la penale responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose occorse al lavoratore, in violazione delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, per l’omessa adozione di adeguate misure tecniche ed organizzative volte a ridurre al minimo possibile i rischi connessi all’uso di attrezzature di lavoro.
Il fatto può essere così brevemente riassunto: il dipendente C.L. si portava sul tetto di un edificio al fine di provvedere allo scarico di pancali in lamiera, del peso di kg. 300 cadauno, movimentati da F.A., anch'egli dipendente dell'azienda, a mezzo di una gru posizionata su un camion.
F.A., nell'occasione, sollevava il pancale con la gru fino all'altezza del tetto e qui C.L. lo indirizzava, appoggiando una mano sul carico per tenerlo in equilibrio, indi invitava il collega, che da terra non poteva vedere cosa accadesse sul tetto, a mandare giù il carico. Nel corso dell'operazione, nondimeno, il pancale oscillava bruscamente andando a colpire C.L., la cui mano destra rimaneva schiacciata contro un muretto posizionato sul tetto.
La difesa del datore di lavoro lamentava la mancata individuazione della norma cautelare in concreto violata, non essendo previsto da alcuna disposizione l'obbligo di utilizzare aste o cinghie per la guida dei carichi del tipo di quelli movimentati dal lavoratore infortunato, ma solo quello di cui al D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 3, che impone al datore di lavoro di adottare "adeguate misure tecniche ed organizzative, tra le quali quelle dell'ALLEGATO VI" che, a loro volta, non indicano siffatta prescrizione.
Sosteneva, inoltre, che il P.O.S. relativo al cantiere conteneva l'indicazione dei rischi derivanti dalla rimozione dei pannelli, ed in particolare il rischio di schiacciamento delle persone presenti nella zona di evoluzione della macchina, lasciando al lavoratore, in considerazione della peculiarità delle lavorazioni in concreto svolte, l’individuazione della cautela pertinente al rischio da affrontare.
La Corte respinge l’assunto difensivo, evidenziando, in particolare, che l'Allegato VI, del T. U. sulla sicurezza sul lavoro, fra le "disposizioni concernenti l'uso delle attrezzature di lavoro che servono a sollevare e movimentare carichi" prevede al punto 3.2.4. che "I lavori devono essere organizzati in modo tale che, quando un lavoratore aggancia o sgancia manualmente un carico, tali operazioni possano svolgersi con la massima sicurezza e, in particolare, che il lavoratore ne conservi il controllo diretto o indiretto".
Dunque, sebbene non vi sia un divieto di intervenire manualmente sui carichi, è comunque previsto che le manovre, debbano garantire la salvaguardia del lavoratore, in modo tale da non consentire la perdita -da parte di chi opera- del pieno governo del carico.
Siffatta garanzia può certamente essere assicurata con modalità diverse a mezzo di procedure o di strumenti, non essendo stabilita una cautela predeterminata, e tuttavia, laddove vi siano istruzioni sull'uso di un macchinario contenute nel suo manuale di utilizzo, le medesime non possono essere ignorate dal datore di lavoro, né la loro applicazione può essere semplicemente rimessa alla valutazione del lavoratore che provvede alla manovra.
Nel caso specifico, la sentenza di prime cure chiariva che il libretto di istruzioni della gru, con la quale si era provveduto alla movimentazione dei pancali, prevedeva che il carico sollevato dovesse essere guidato a distanza tramite funi, evitando di farlo oscillare; in più, la Corte territoriale aveva ricordato, nel provvedimento impugnato, che pochi mesi prima dell'infortunio il datore di lavoro era stato reso edotto della necessità di provvedere alla "guida a distanza" dei carichi in movimento, essendo stato destinatario di prescrizioni INAIL, informazioni che non erano state portate a conoscenza della persona offesa, destinataria unicamente di formazione in ordine ai rischi di caduta dall'alto.
SENTENZA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI NICOLA Vito - Presidente -
Dott. CIANFROCCA Pierluigi - Consigliere -
Dott. NARDIN Maura - rel. Consigliere -
Dott. SILVESTRI Pietro - Consigliere -
Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 31/10/2017 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere MAURA NARDIN;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Dott. BIRRITTERI Luigi, che ha concluso chiedendo;
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto del ricorso;
udito il difensore.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 31 ottobre 2017 la Corte di appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze con la quale M.A., legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., è stata ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 590 c.p., commi 1 e 3, in relazione al D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 3, contestatogli per avere colposamente cagionato lesioni personali gravi a C.L., consistite in ferita da taglio al III dito della mano destra, perché con imprudenza, negligenza ed imperizia ed in violazione delle norme di prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro, ometteva di adottare attrezzature, quali aste o cinghie, che consentissero la guida dei carichi a distanza e, non prendendo in considerazione le caratteristiche del lavoro da svolgere ed i rischi presenti, consentiva al lavoratore, intento a posizionare sul tetto di un edificio pannelli di lamiera del peso di kg. 300, sollevati tramite gru, di operare con le mani per reggere il carico, cosicché egli veniva colpito da un pancale in sollevamento, che nell'oscillazione gli schiacciava la mano destra.
2. Il fatto - come ricostruito dalle sentenze di merito - può essere descritto come segue: C.L., dipendente della (OMISSIS) s.r.l., incaricata dal Comune di Scandicci del rifacimento della copertura di un edificio scolastico, in data 6 marzo 2012, si portava sul tetto dell'immobile al fine di provvedere allo scarico di pancali in lamiera, del peso di kg. 300 cadauno, movimentati da F.A., anch'egli dipendente dell'azienda, a mezzo di una gru posizionata su un camion. F., nell'occasione, sollevava il pancale con la gru fino all'altezza del tetto e qui C. lo indirizzava, appoggiando una mano sul carico per tenerlo in equilibrio, indi invitava il collega, che da terra non poteva vedere cosa accadesse sul tetto, a mandare giù il carico. Nel corso dell'operazione, nondimeno, il pancale oscillava bruscamente andando a colpire C., la cui mano destra rimaneva schiacciata contro un muretto posizionato sul tetto.
3. Avverso la sentenza della Corte di appello propone ricorso per cassazione l'imputata, a mezzo del suo difensore, affidandolo due motivi.
4. Con la prima doglianza fa valere, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), la violazione della legge penale in relazione all'art. 43 cod. pena ed il vizio di motivazione. Denuncia la mancata indicazione da parte del provvedimento impugnato della norma cautelare in concreto violata, non essendo previsto da alcuna disposizione l'obbligo di utilizzare aste o cinghie per la guida dei carichi del tipo di quelli movimentati dal lavoratore infortunato, ma solo quello di cui al D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 3, che impone al datore di lavoro di adottare "adeguate misure tecniche ed organizzative, tra le quali quelle dell'ALLEGATO VI" che, a loro volta, non indicano siffatta prescrizione. Assume che per la tipologia del carico e dell'ambiente nel quale le lavorazioni venivano effettuate l'adozione di simili presidi non era attuabile. Sostiene che il P.O.S. relativo al cantiere conteneva l'indicazione dei rischi derivanti dalla rimozione dei pannelli, ed in particolare il rischio di schiacciamento delle persone presenti nella zona di evoluzione della macchina - come peraltro riconosciuto dalla sentenza di primo grado - e che, dunque, il datore di lavoro non ha omesso di prevedere i rischi, ma semplicemente ha ritenuto che peculiarità delle lavorazioni in concreto svolte e la particolare esperienza e capacità dei lavoratori non rendesse necessaria la prescrizione dell'uso di aste o cinghie, dovendo invece individuarsi, di volta in volta, la cautela pertinente al rischio da affrontare. Al contrario, entrambe le sentenze di merito, hanno trascurato il profilo della pertinenza fra la prescrizione come individuata (utilizzo di funi o aste) e la lavorazione in atto, nel corso della quale l'infortunio si è verificato. Lamenta la superficialità delle indagini della A.S.L., limitata alle sole informazioni rese dalla persona offesa, senza alcun sopralluogo e sottolinea la ricaduta di detta incompletezza sull'individuazione della regola cautelare pertinente al caso.
5. Con il secondo motivo fa valere la violazione della legge penale in relazione agli artt. 40 e 41 c.p., nonché il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), sotto il profilo della carenza assoluta. Osserva che la Corte territoriale, a fronte di specifico motivo di appello, in violazione dell'obbligo di motivazione, ha mancato di affrontare la questione inerente alla sussistenza del nesso di causalità fra la contestata condotta omissiva e l'evento lesivo. Rileva che lo schiacciamento della mano del lavoratore è avvenuto nella fase di scarico del grave e non in quella di traslazione e che, pertanto, la c.d. fase di guida del carico era terminata e non richiedeva l'utilizzo di alcuno strumento di movimentazione. Dunque, l'avere tenuto la mano sul carico non era più necessario al fine di agevolare il rilascio a terra, e se ciò costituisce un comportamento gravemente imprudente posto in essere dal lavoratore in difformità delle procedure aziendali, dimostra anche che l'osservanza della cautela individuata dai giudici di merito, non avrebbe consentito di evitare l'evento.
6. Conclude per l'annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITT0
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
3. La doglianza si concentra sull'assenza della norma impositiva della cautela indicata dai giudici di merito quale presidio del rischio realizzatosi. Nessuna disposizione, infatti, secondo la ricorrente, prevede l'utilizzo di funi, cinghie, aste o uncini nella movimentazione dei carichi, sicché non potrebbe dirsi violato il disposto del D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 3, non avendo il datore di lavoro omesso di ottemperare a prescrizioni inerenti alla specifica lavorazione, non contenute neppure nell'Allegato VI. Al contrario, secondo il datore di lavoro, il P.O.S. individuava, già all'epoca dell'infortunio, i rischi da "schiacciamento delle persone presenti nella zona di evoluzione della macchina", che, nondimeno, dovevano essere diversamente contenuti dai medesimi lavoratori, in relazione delle concrete condizioni di operatività.
4. Ora, il D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 71, comma 3, definisce il generale obbligo del datore di lavoro di "ridurre al minimo i rischi connessi all'uso delle attrezzature di lavoro" e di "impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte", adottando tutte le misure tecniche ed organizzative idonee a scongiurare i rischi derivanti dalle lavorazioni. Siffatto generale obbligo di "ridurre al minimo" il rischio di infortuni impone al datore di lavoro non solo di dotarsi degli specifici presidi previsti dalle disposizioni (fra cui quelle dell'Allegato VI), ma di tutti i dispositivi di sicurezza delle attrezzature, secondo quanto stabilito dal medesimo art. 71, al comma 4, lett. a) n. 1), assicurando, inoltre, che "il posto di lavoro e la posizione dei lavoratori durante l'uso delle attrezzature presentino requisiti di sicurezza e rispondano ai principi dell'ergonomia", come prescritto del comma 6, della norma.
4.1. Va chiarito che quanto previsto dal D. Lgs. n. 359 del 1999, art. 2, con cui si modificava il D. Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, è stato trasfuso, a seguito dell'abrogazione di siffatto ultimo provvedimento legislativo ai sensi del D. Lgs. n. 81 del 2008, art. 304, comma 1, lett. a), nelle disposizioni contenute nel punto 3 e sue articolazioni dell'Allegato VI, del T. U. sulla sicurezza sul lavoro. Ivi, fra le "disposizioni concernenti l'uso delle attrezzature di lavoro che servono a sollevare e movimentare carichi" si prevede al punto 3.2.4. che "I lavori devono essere organizzati in modo tale che, quando un lavoratore aggancia o sgancia manualmente un carico, tali operazioni possano svolgersi con la massima sicurezza e, in particolare, che il lavoratore ne conservi il controllo diretto o indiretto".
4.2. Dunque, sebbene non vi sia un divieto di intervenire manualmente sui carichi, è comunque previsto che le manovre, debbano garantire la salvaguardia del lavoratore, in modo tale da non consentire la perdita - da parte di chi opera-del pieno governo del carico.
Siffatta garanzia può essere assicurata con modalità diverse a mezzo di procedure o di strumenti, non essendo stabilita una cautela predeterminata, e tuttavia, laddove vi siano istruzioni sull'uso di un macchinario contenute nel suo manuale di utilizzo, le medesime non possono essere tout court ignorate dal datore di lavoro, nè la loro applicazione può essere semplicemente rimessa alla valutazione del lavoratore che provvede alla manovra. Pur potendo (e talora dovendo cfr. Sez. 4, n. 5441 del 11/01/2019 - dep. 04/02/2019, Lanfranchi Lanfranco, Rv. 27502001) la sicurezza di un macchinario o di una procedura di utilizzo, come descritta nelle informazioni del costruttore-venditore, essere potenziata con ulteriori sistemi, dispositivi o procedimenti compatibili con la corretta funzionalità dell'apparecchiatura, che garantiscano un incremento delle cautele, il datore di lavoro, nondimeno, non può certo trascurare le prescrizioni del manuale di funzionamento, su cui deve informare i lavoratori che operano sul macchinario, istruendoli sulle modalità del suo utilizzo.
4.3. A questo proposito la sentenza di prima cura, chiarisce che il libretto di istruzioni della gru, con la quale si provvedeva alla movimentazione dei pancali, alla lett. J) prevede che il carico sollevato debba essere guidato a distanza tramite funi, evitando di farlo oscillare, mentre la Corte territoriale ricorda che pochi mesi prima dell'infortunio il datore di lavoro era stato reso edotto della necessità di provvedere alla "guida a distanza" dei carichi in movimento, essendo stato destinatario di prescrizioni INAIL, nel gennaio 2012, informazioni non portate a conoscenza della persona offesa, destinataria unicamente di formazione in ordine ai rischi di caduta dall'alto.
4.4. Ciò significa che, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, non solo è identificabile la condotta doverosa relativamente alle operazioni di carico e scarico con la gru mobile utilizzata, ma l'evento poteva essere preveduto ed evitato dal datore di lavoro, peraltro specificamente informato del pericolo, rispetto al quale, tuttavia, secondo i giudici del merito, non ha predisposto alcuna misura, neppure provvedendo a informare e formare i lavoratori operanti su quanto prescritto dall'INAIL.
Ebbene, quanto sin qui detto rende chiaro che anche laddove si volesse ritenere che il P.O.S. redatto dal datore di lavoro indicava il rischio specifico da schiacciamento per oscillazione (le sentenze lo escludono, nonostante riportino la previsione del P.O.S. relativa al pericolo di schiacciamento delle persone presenti nella zona di evoluzione della macchina) vi è che nulla è stato predisposto per evitarlo, tanto che la stessa ricorrente si limita ad affermare di avere stabilito che fossero i lavoratori addetti a dover individuare la modalità più corretta di elisione del rischio, a seconda dei casi. Dunque, anche questo profilo di censura deve essere respinto.
5. Parimenti manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso.
6.La doglianza con cui si sostiene l'insussistenza del nesso di causalità fra la condotta omissiva contestata e l'evento, si basa sull'assunto secondo il quale lo schiacciamento si sarebbe prodotto nella fase di rilascio a terra del carico e non in quella di traslazione, per la quale sarebbe previsto l'utilizzo di uno strumento di guida a distanza (fune, uncino ecc.), con la conseguenza dell'indifferenza dell'eventuale violazione cautelare sul prodursi dell'evento lesivo.
6.1. Si tratta di osservazioni che si reggono su una parcellizzazione del movimento di traslazione, priva di fondamento, posto l'operazione di trasferimento del carico è unitaria e che l'eventuale oscillazione del grave non può che essere esclusa solo quando il medesimo si trovi a terra, cioè quando sia in equilibrio stabile.
6.2. Dunque, essendo le regole stabilite per la movimentazione tramite la gru destinate a ridurre i pericoli derivanti dall'oscillazione del carico non può che affermarsi la correttezza del ragionamento in ordine alla causalità della colpa consistita nella mancata adozione di siffatte precauzioni, essendosi l'evento prodotto proprio per la loro inosservanza. Il doveroso giudizio controfattuale è stato correttamente svolto dal giudice di prima cura che ha precisato come l'adozione della cautela omessa, consistente nell'utilizzo di uno strumento che consentisse di mantenere il carico lontano dal corpo dell'operatore, avrebbe impedito lo schiacciamento, verificatosi a causa dell'utilizzo da parte del lavoratore delle mani al fine di stabilizzare il carico oscillante in discesa.
7. D'altro canto, il motivo qui proposto, con cui ci si duole della carenza di motivazione da parte della Corte territoriale sul punto, non appare formulato in questi termini nell'atto appello, per come riportato dalla sentenza impugnata, il che impedisce di valutare, in assenza dell'allegazione del gravame, la coerenza della catena devolutiva.
8. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 27 agosto 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019