Diritto penale

Il reimpiego di beni aziendali della società fallita in altre attività economiche o imprenditoriali gestite dai medesimi soggetti: quando si può parlare di bancarotta patrimoniale per distrazione e di autoriciclaggio

12 Novembre 2019

Trasferire i beni aziendali dalla società fallita a vantaggio di altre imprese, gestite dai medesimi soggetti, che reimpieghino il patrimonio così ricevuto nell’esercizio di attività imprenditoriali o economiche, può configurare non solo il reato di bancarotta patrimoniale per distrazione, ma altresì il delitto di autoriciclaggio (Cassazione penale, Sez. II, 21.06.2019, n. 37503).

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi del rapporto tra bancarotta fraudolenta patrimoniale e autoriciclaggio.

Nel caso di specie, la Pubblica Accusa aveva richiesto l’applicazione di misura cautelare personale nei confronti degli indagati, amministratori di fatto e di diritto della società Alfa S.r.l., dichiarata fallita, e di altre società, anche di diritto estero, coinvolte a vario titolo (tra cui la società Beta S.r.l.), nonché il sequestro preventivo, ex artt. 19 e 53 D. lgs. n. 231/2001, anche per equivalente, in relazione al reato di autoriciclaggio di cui all’art. 648-ter.1 c.p., dei beni della società Beta S.r.l., in favore della quale erano stati trasferiti i beni aziendali di Alfa S.r.l. .

La difesa aveva lamentato l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di autoriciclaggio, sotto un duplice aspetto:

Nel dichiarare il ricorso infondato, la Suprema Corte ha fornito motivazioni interessanti con riguardo ad entrambe le questioni sopra richiamate.

Poiché “lo scopo che ha voluto perseguire il legislatore con l'inserimento della fattispecie punita e prevista dall'art. 648 ter.1 c.p. è quello di "congelare" ogni utilità economica proveniente da delitto, cioè di impedire che tali beni siano in qualsiasi modo reimmessi nel circuito economico e possano così produrre e determinare ulteriori ed illeciti profitti”, occorre verificare, in prospettiva che i giudici di legittimità hanno definito “dinamica”, le condotte di volta in volta poste in essere dall'autore del reato, con riferimento alla specifica natura del bene, ovvero della "utilità", oltre che alle caratteristiche e alle modalità concrete dell'operazione realizzata.

Conseguentemente, occorre operare una distinzione preliminare, a seconda che il reato di autoriciclaggio abbia ad oggetto il trasferimento di beni, per così dire, “statici”, ovvero “dinamici”, intendendosi per questi ultimi i beni che, per la loro natura e per le proprie caratteristiche intrinseche, consentano l’impiego dell’utilità illecita conseguita nell’esercizio di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.

Qualora, ciò premesso, il reato originario riguardi il trasferimento di beni c.d. "statici", come anche il denaro, la condotta attraverso la quale la somma è stata conseguita non è evidentemente idonea, a dire della Corte, a configurare anche il reato di autoriciclaggio (il caso è quello, ad esempio, del versamento del profitto di furto, su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto; il riciclaggio sarà, invece, configurabile in ogni ulteriore e successivo trasferimento, impiego e reimmissione nel circuito economico di quel profitto, evidentemente non finalizzato ad un godimento esclusivamente personale).

Allorquando, però, il bene conseguito con il reato antecedente sia per sua natura, in virtù delle sue intrinseche caratteristiche "dinamiche", idoneo a determinare l'impiego dell'utilità illecita conseguita in attività economiche o finanziarie (ed il caso è quello, ad esempio, della distrazione di una azienda, costituita da un complesso di beni aziendali finalizzati all’esercizio di una attività imprenditoriale), occorre necessariamente procedere ad una verifica che non può prescindere dalla effettività o meno della gestione della medesima attività imprenditoriale.

In definitiva, la mera distrazione dell'azienda, non seguita da alcuna ulteriore e diversa attività configura il reato presupposto (nella specie il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui agli artt. 216, comma I, n. 1 – 223, comma I, R.D. n. 267/1942).

La successiva gestione della stessa, l'esercizio di una attività imprenditoriale attraverso l'azienda oggetto della distrazione, configura il reato di autoriciclaggio sub specie di impiego in attività economiche ovvero finanziarie dell'utilità di provenienza illecita.

In tale ulteriore, successiva e distinta attività (da quella di “mera” distrazione) si sostanzia, infatti, quel quid pluris sanzionato dalla norma – che sembra posta a tutela del bene giuridico rappresentato dal corretto funzionamento del mercato e dei traffici commerciali, oltre che degli interessi patrimoniali.

Nel caso specifico, il Tribunale del Riesame aveva distinto le due condotte e, proprio per tale ragione, aveva proceduto correttamente ad individuare lo specifico profitto del reato di autoriciclaggio nelle attività di gestione dell’azienda trasferita e di esercizio dell’attività imprenditoriale attraverso l’azienda oggetto della distrazione, senza confondere il profitto del delitto di cui all’art. 648-ter.1 c.p. col valore dell'azienda stessa.

Con riferimento al secondo profilo, secondo cui la stipula del contratto di affitto di azienda e l'atto di trasferimento, entrambi effettuati con atti pubblici, non avrebbero avuto alcuna idoneità ad ostacolare "concretamente", come richiesto dalla norma, l'identificazione della provenienza delittuosa, la Cassazione ha concluso che la composizione del compendio aziendale (mobili ed arredi non univocamente identificabili) già di per sé imponga di ritenere che la cessione sia in concreto idonea ad ostacolare la provenienza illecita degli stessi; inoltre, i contratti, proprio perché davano una “parvenza di legittimità” alla successiva attività di gestione, alla luce della quale devono essere considerati, avevano avuto una concreta idoneità a dissimulare la provenienza delittuosa degli utili conseguiti dall'esercizio dell'attività imprenditoriale.

Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale può, dunque, in presenza di un quid pluris realizzato attraverso il reimpiego dei beni o di altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, concorrere col delitto di autoriciclaggio.

SENTENZA

Ritenuto in fatto

Il Tribunale del Riesame di Catania, con ordinanza del 7/3/2019, in parziale riforma dell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania del 7/1/2019, disponeva che il sequestro preventivo, anche per equivalente, sui beni della società Beta S.r.l. disposto ai sensi del D. Lgs. n. 231 del 2001, artt. 19 e 53 in relazione al reato di cui all'art. 648ter.1 c.p., dovesse essere applicato fino alla concorrenza di Euro 195.675,00.

A seguito del fallimento della società Alfa S.r.l., la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania procedeva per il reato di bancarotta fraudolenta e di autoriciclaggio a carico di degli amministratori di fatto e di diritto della citata società e di altre, anche di diritto estero, che risultavano coinvolte a vario titolo, nonché di due consulenti delle stesse.

In specifico il reato di bancarotta ipotizzato sarebbe stato commesso distraendo le attività della società attraverso una serie di condotte sostanzialmente ed in sintesi consistite nella stipula, dapprima, di un contratto di affitto di azienda e, poi, con un atto di trasferimento, entrambi fittizi ed in favore di Beta S.r.l. .

Il reato di autoriciclaggio, invece, sarebbe stato commesso dai medesimi soggetti impiegando il complesso aziendale sottratto in modo da occultarne la provenienza delittuosa.

Per tali fatti l'organo dell'accusa richiedeva l'applicazione della misura cautelare persone nei confronti degli indagati e, ritenuta la responsabilità amministrativa di cui alla L. n. 231 del 2001, che venisse disposto il sequestro preventivo "dell'azienda attualmente confluita in Beta s.r.l. ovvero dei beni mobili e immobili, disponibilità finanziaria e altre utilità, individuati per il tramite degli uffici competenti, nella disponibilità e/o proprietà degli attuali indagati o comunque agli stessi riconducibili fino alla concorrenza di 689.000,00 Euro, valore dell'azienda oggetto di distrazione e successivo reimpiego".

Il giudice, per quanto riguarda il presente ricorso, provvedeva come da richiesta.

La difesa di C.M., legale rappresentante di Beta, richiedeva il riesame dell'ordinanza ed il Tribunale, condivise le considerazioni circa la distinzione tra il profitto del reato presupposto (la bancarotta fraudolenta) e l'autoriciclaggio, riformava l'ordinanza impugnata e disponeva che il sequestro preventivo fosse limitato alla sola cifra di Euro 195.675,00, individuata come profitto del reato di cui all' art. 648 ter.1 c.p. .

Avverso tale ordinanza propone ricorso il legale rappresentante di Beta s.r.l. che, a mezzo del difensore, deduce i seguenti motivi.

Violazione di legge in relazione all'art. 648 ter.1 c.p.e, conseguentemente, in relazione al D. Lgs. n. 231 del 2001, art. 25-octies.La difesa rileva l'erronea applicazione della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi del reato di autoriciclaggio. Sotto un primo profilo, l'attività posta in essere, cioè il trasferimento dell'azienda, condotta contestata come reimpiego del profitto del reato di bancarotta fraudolenta, coinciderebbe con la distrazione oggetto del reato fallimentare. In tale situazione, pertanto, il responsabile legale di Beta autore del reato presupposto non avrebbe potuto commettere il diverso reato di cui all'art. 648 ter.1 c.p., norma che sanziona condotte ulteriori e successive, distinte, rispetto a quelle attraverso le quali è stato commesso il reato presupposto. Sotto un diverso profilo, poi, la condotta posta in essere, la stipula del contratto di affitto di azienda e l'atto di trasferimento, effettuati con atti pubblici, non avrebbero alcuna idoneità ad ostacolare "concretamente", come richiesto dalla norma, l'identificazione della provenienza delittuosa.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.

La difesa deduce la violazione di legge sotto un duplice profilo.

In prima battuta evidenzia che il reato di autoriciclaggio non sarebbe configurabile in quanto la condotta da questo sanzionata coinciderebbe, nel caso di specie, in quella oggetto del reato presupposto di bancarotta per distrazione.

Secondo la difesa, infatti, entrambe le contestazioni formulate dall'accusa si riferirebbero alla medesima attività, cioè la distrazione, avvenuta attraverso i contratti di affitto, prima, e di cessione poi, dell'intera azienda di Alfa s.r.l. in favore di Beta S.r.l., all'uopo costituita.

Tale considerazione, che pure a prima lettura potrebbe apparire corretta, invero, non coglie nel segno.

Lo scopo che ha voluto perseguire il legislatore con l'inserimento della fattispecie punita e prevista dall'art. 648 ter.1 c.p. è quello di "congelare" ogni utilità economica proveniente da delitto, cioè di impedire che tali beni siano in qualsiasi modo reimmessi nel circuito economico e possano così produrre e determinare ulteriori ed illeciti profitti.

A tal fine la norma, come sollecitato anche in sede internazionale, superando la tradizionale clausola di esclusione prevista per l'autore del reato presupposto, ha introdotto questa specifica e peculiare ipotesi di reato.

La formulazione della norma, prevedendo le condotte di "impiego", "sostituzione" e "trasferimento" in attività economiche e finanziarie è coerente con la citata impostazione che, d'altro canto, risulta anche confermata dalla previsione del comma 4 secondo il quale la punibilità è esclusa per le sole condotte finalizzate all'esclusivo godimento personale, quelle attraverso le quali, quindi, neanche l'autore del reato presupposto esercita attività economica ovvero finanziaria.

Tanto premesso in breve, deve ritenersi che l'analisi delle condotte di volta in volta poste in essere dall'autore del reato non possa prescindere da una verifica, in prospettiva che si potrebbe definire dinamica, della specifica natura del bene ovvero della "utilità" oltre che delle caratteristiche e delle modalità concrete dell'operazione realizzata.

Solo in tal modo, peraltro, in certe peculiari situazioni, come quella oggetto del caso di specie, può in effetti essere individuato l'eventuale quid pluris che distingue la condotta costituiva del reato presupposto da quella successiva, ulteriore e distinta, sanzionata ai sensi dell'art. 648 ter.1 c.p..

Qualora il reato originario riguardi il trasferimento di beni "statici", come anche il denaro, la condotta attraverso la quale la somma è stata conseguita non è evidentemente idonea a configurare anche il reato di autoriciclaggio (Sez. 5, n. 8851 del 01/02/2019, Petricca, Rv. 275495; Non integra il delitto di autoriciclaggio il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto Sez. 2, n. 33074 del 14/07/2016, Babuleac, Rv. 267459) che, invece, sarà configurabile in ogni ulteriore e successivo trasferimento, impiego e reimmissione nel circuito economico, evidentemente non finalizzato ad un godimento esclusivamente personale (Sez. 5, n. 5719 del 11/12/2018, dep. 2019, Rea, non massimata; Sez. 2, 4/5/2018, n. 25979, Magrì, non massimata; Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013 - dep. 20/03/2014, Amato e altri, Rv. 259487; Sez. 2, n. 546 del 07/01/2011 - dep. 11/01/2011, P.G. in proc. Berruti, Rv. 249446.

Sempre con riferimento ad utilità "statiche", d'altro canto, la consumazione del delitto di riciclaggio, che è un reato a forma libera attuabile anche con modalità frammentarie e progressive, può coincidere con il momento in cui i beni acquistati con capitali di provenienza illecita sono rivenduti dal reo poichè in questo caso l'acquisizione del denaro "ripulito" così ottenuto non può qualificarsi come un mero "post-factum" non punibile (Sez. 3, n. 3414 del 29/10/2014, dep. 2015, Giaccone, Rv. 263718)

La situazione muta però radicalmente qualora il bene conseguito con il reato presupposto sia per sua natura, in virtù delle sue intrinseche caratteristiche "dinamiche", idoneo a determinare l'impiego dell'utilità illecita conseguita in attività economiche o finanziarie.

Sotto tale dirimente profilo, quindi, la distrazione di una azienda, costituita da un complesso di beni aziendali finalizzati ad una attività imprenditoriale, impone di procedere ad una verifica che non può prescindere dalla effettività o meno della gestione della stessa.

La mera distrazione dell'azienda, non seguita da alcuna ulteriore e diversa attività configura il reato presupposto.

La successiva gestione della stessa, l'esercizio di una attività imprenditoriale attraverso l'azienda oggetto della distrazione, configura il reato di autoriciclaggio sub specie di impiego in attività economiche ovvero finanziarie dell'utilità di provenienza illecita (in tal modo si "cristallizza il collegamento tra la condotta "riciclatrice" ed una "gestione" di utilità economiche già acquisite con una condotta a sua volta punibile. Il che sta a significare che la punibilità - per quanto in forma meno grave - dell'autoriciclaggio dipende proprio dall'avere questo oggettivamente attentato all'ordine economico mediante l'attività di laundering' e non già dall'aver finalizzato sin da principio il precedente delitto allo scopo di realizzare quest'ultima. Il senso della norma si coglie, insomma non già sul piano della "rimproverabilità" soggettiva, ma su quello del passaggio dall'ottenimento per vie illegali di un'utilità economicamente rilevante ad un reinvestimento della medesima in ambiti, a loro volta, fruttuosi sotto il profilo economico e dannosi" così Sez. 2, 4/5/2018, n. 25979, Magrì, non massimata).

Tale attività, ulteriore, successiva e distinta da quella di mera distrazione, infatti, realizza compiutamente il quid pluris sanzionato dalla norma.

Tanto considerato, la decisione del Tribunale, che ha distinto le due condotte e proprio per tale ragione ha proceduto all'individuazione dello specifico profitto del reato di autoriciclaggio nell'attività di gestione, senza sovrapporlo al valore dell'azienda, appare giuridicamente corretta.

1.2. In seconda battuta la difesa rileva che la stipula del contratto di affitto di azienda e l'atto di trasferimento, entrambi effettuati con atti pubblici, non avrebbero alcuna idoneità ad ostacolare "concretamente", come richiesto dalla norma, l'identificazione della provenienza delittuosa.

Anche tale doglianza appare infondata.

Come evidenziato sul punto dal Tribunale del riesame, infatti, la composizione del compendio aziendale (mobili ed arredi non univocamente identificabili) già di per sè impone di ritenere che la cessione sia in concreto idonea ad ostacolare la provenienza illecita degli stessi.

Facendo riferimento a quanto in precedenza evidenziato sub 1.1., d'altro canto, deve ritenersi che i contratti, proprio perchè davano una parvenza di legittimità alla successiva attività di gestione, alla luce della quale devono essere considerati, avevano una concreta idoneità a dissimulare la provenienza delittuosa degli utili conseguiti dall'esercizio dell'attività imprenditoriale.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 settembre 2019