Sicurezza sul lavoro

La verifica ex ante della concreta prevedibilità dell’infortunio

28 Marzo 2020

Il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, e occorre che la verifica si estenda dal profilo squisitamente causale, con l'indagine sul giudizio controfattuale e sul comportamento alternativo che ci si doveva attendere dal DDL, alla stessa conoscibilità, prevedibilità ex ante e prevenibilità del rischio da parte dell'imputato, passando per le peculiarità che caratterizzano il caso di specie (Cassazione Penale, Sez. 4, 09 marzo 2020, n. 9216)

La sentenza in commento annulla con rinvio sentenza con la quale la Corte d'appello di Ancona, aveva confermato la sentenza di primo grado con la quale, il Tribunale di Ancona aveva condannato G.R. per il reato p. e p. dall'art. 590, commi 1, 2 e 3 cod.pen., con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in Morro d'Alba il 26 agosto 2014.

G.R. era legale rappresentante della Techpol s.r.l. e datore di lavoro di A.G., operaio dato in somministrazione dall'agenzia GiGroup quale addetto alle presse. A.G., nell'eseguire un'operazione di stampaggio di componenti plastici su una pressa, posizionava tali componenti sul relativo stampo, introducendo in tale occasione il braccio sotto la matrice dopo avere aperto il riparo di protezione; prima che l'A.G. potesse chiudere tale riparo ed estrarre il braccio, la matrice iniziava a muoversi e colpiva la mano dell'operaio incastrandola sul punzone e cagionando le lesioni traumatiche da schiacciamento meglio descritte in atti. G.R. avrebbe violato in particolare l'art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, per avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario sprovvisto di adeguati sistemi di sicurezza, ossia nella specie di un'adeguata protezione che impedisse di raggiungere con gli arti la zona pericolosa della macchina. La Corte d’appello aveva evidenziato:

Il ricorrente si duoleva della violazione di legge e del vizio di motivazione in ordine alla responsabilità dell'imputato, sotto due diversi profili:

  1. la interpretazione errata delle dichiarazioni del teste M., secondo il quale l'infortunio si era verificato per un malfunzionamento della macchina, ma quest'ultimo - secondo il teste - non era necessariamente correlato a una carenza nella manutenzione del macchinario stesso, potendo essere legato a difetti tecnici, o a una svista, o ad altre cause rimaste imprecisate. A fronte di siffatta incertezza sulle cause dell'incidente, dovevano essere prese in considerazione le dichiarazioni del teste a discarico A., responsabile della manutenzione delle macchine, che secondo quanto da lui affermato veniva puntualmente eseguita; peraltro tali dichiarazioni erano confermate dalla scheda manutenzioni relativa alla pressa, in base alla quale risulta che la manutenzione veniva eseguita settimanalmente e addirittura era stata effettuata il giorno prima dell'incidente. Con la conseguenza che non era ipotizzabile negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline da parte del GR; si trattava invece di evento dovuto a caso fortuito, o comunque per una causa non prevedibile da parte dell'imputato: il teste a discarico P., il quale aveva spesso operato su quella macchina (e delle cui dichiarazioni la Corte dorica non ha tenuto alcun conto), ha tra l'altro negato di essersi mai accorto del malfunzionamento di che trattasi, ed anzi la macchina a suo dire partiva sempre circa un secondo dopo la chiusura della protezione. La Corte di merito aveva, invece ritenuto attendibile la persona offesa, la quale pure aveva cambiato versione dei fatti nel corso del tempo in ordine alla dinamica dell'accaduto. In definitiva, conclude il ricorrente, il G.R. é stato condannato in base a un convincimento che ha posto a suo carico una sorta di responsabilità oggettiva dell'accaduto.
  2. in riferimento al comportamento del lavoratore nella causazione del sinistro la Corte d’appello lo aveva ritenuto esente da colpe, sebbene fosse accertato, attraverso la deposizione del teste Z.S. che egli aveva ricevuto le dovute istruzioni sul funzionamento e sulle procedure relative alla pressa; si trattava quindi di un comportamento abnorme del lavoratore, in quanto del tutto imprevedibile e insuscettibile di controllo da parte del datore di lavoro.

La Corte di Cassazione ha precisato:

- che non é esatto evocare nel caso di specie l'ipotesi del "caso fortuito", che rappresenta il fatto, imprevisto e imprevedibile, estraneo a ogni possibile riferibilità soggettiva;

- così come non é neppure corretto evocare il comportamento "abnorme" della persona offesa, alla luce del principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia – e nel caso di specie é di tutta evidenza che nell'ambito di tale sfera di rischio rientrava anche la circostanza che l'operatore, nell'inserire gli elementi in plastica sotto la pressa, posizionasse la mano e il braccio all'interno di macchinari pericolosi;

- che nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto;

- che occorre che la verifica che si estenda dal profilo squisitamente causale, con l'indagine sul giudizio controfattuale e sul comportamento alternativo che ci si doveva attendere dal G.R., alla stessa conoscibilità, prevedibilità ex ante e prevenibilità del rischio da parte dell'imputato, passando per le peculiarità che caratterizzano il caso di specie.

La motivazione delle sentenza di appello era apparentemente il frutto dei seguenti passaggi:

- l'infortunio si é verificato per un malfunzionamento del macchinario;

- il malfunzionamento era dovuto a cattiva manutenzione della macchina;

- la cattiva manutenzione della macchina era, come tale, imputabile al datore di lavoro, ossia al G.R..

Tuttavia, dei suddetti tre passaggi, solo il primo risulta univocamente accertato, essendo certo e incontestato che il difetto insito nel macchinario (che si metteva in movimento prima che lo sportellino di protezione si chiudesse) rappresentasse oggettivamente uno scostamento rispetto alle corrette modalità di funzionamento di tale dispositivo di sicurezza, che avrebbe dovuto consentire che la macchina si mettesse in movimento solo dopo la chiusura dello sportellino. Senonchè il fatto che tale malfunzionamento fosse dovuto a manutenzione, l'assunto della Corte distrettuale é assertivo, ma risulta contrastato dal contenuto della deposizione del teste di riferimento (M., tecnico della prevenzione): il quale, come correttamente osservato dal ricorrente, ha individuato la carenza di manutenzione come una tra le possibili cause del difetto, ma non come la causa esclusiva. Ed é corretto il ragionamento del ricorrente secondo il quale la Corte dorica si sarebbe dovuta confrontare con i dati offerti dal teste a discarico A. sulla regolarità delle manutenzioni del macchinario, dati riscontrati dalla scheda di manutenzione della macchina, in base alla quale risulta che addirittura la manutenzione venne effettuata anche il giorno prima.Ma, anche volendo ipotizzare che effettivamente vi fosse stato un difetto di manutenzione tale da impedire che venisse corretto il malfunzionamento del dispositivo di sicurezza, occorrerebbe poi - e siamo al terzo passaggio - accertare che di tale difetto di manutenzione debba rispondere il datore di lavoro. Per far ciò occorrerebbe però verificare se le eventuali carenze nella manutenzione del macchinario fossero conosciute o conoscibili da parte del G.R., nella sua qualità datoriale.Orbene, al riguardo la Corte territoriale nulla dice, contentandosi di porre a carico dell'imputato il difetto di manutenzione in quanto condotta omissiva ascrivibile al datore di lavoro. Eppure, risulta che egli avesse designato un responsabile per la manutenzione delle macchine (nella persona dell'A., chiamato a deporre come teste a discarico) e che fosse disponibile una scheda manutenzione indicante che tale operazione veniva eseguita con frequenza settimanale; non risulta, viceversa, che l'inconveniente al dispositivo di sicurezza alla base dell'Infortunio si fosse mai precedentemente verificato…. Ma, a parte tali profili, resta il fatto che la Corte dorica non ha argomentato, ma ha meramente asserito, che il presunto - e non dimostrato - difetto di manutenzione fosse tale da conclamare la responsabilità datoriale, senza alcuna disamina in ordine alla conoscibilità di tale difetto e, conseguentemente, alla concreta prevedibilità ex ante, da parte dell'odierno ricorrente, del verificarsi di un infortunio del tipo di quello occorso alla persona offesa, nonché alla possibilità di disporre un apposito intervento per prevenire ed evitare simili eventi, in presenza di compiti di manutenzione che risultavano comunque affidati a soggetto fiduciario appositamente individuato (l'A.) ed assolti con la dovuta frequenza; e non essendo emersi precedenti, analoghi episodi di malfunzionamento.

La sentenza impugnata è stata perciò annullata con rinvio alla Corte d'appello di Perugia per nuovo giudizio.

  

FATTO

 1. La Corte d'appello di Ancona, in data 28 febbraio 2019, ha confermato la sentenza con la quale, il 18 aprile 2017, il Tribunale di Ancona aveva condannato G.R. alla pena ritenuta di giustizia per il reato p. e p. dall'art. 590, commi 1, 2 e 3 cod.pen., con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in Morro d'Alba il 26 agosto 2014. Il G.R. risponde del suddetto reato quale legale rappresentante della Techpol s.r.l. e datore di lavoro di A.G., operaio dato in somministrazione dall'agenzia GiGroup quale addetto alle presse. L'A.G., nell'eseguire un'operazione di stampaggio di componenti plastici su una pressa, posizionava tali componenti sul relativo stampo, introducendo in tale occasione il braccio sotto la matrice dopo avere aperto il riparo di protezione; prima che l'A.G. potesse chiudere tale riparo ed estrarre il braccio, la matrice iniziava a muoversi e colpiva la mano dell'operaio incastrandola sul punzone e cagionando le lesioni traumatiche da schiacciamento meglio descritte in atti. In tal modo, secondo l'addebito, il G.R. avrebbe violato in particolare l'art. 71, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, per avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario sprovvisto di adeguati sistemi di sicurezza, ossia nella specie di un'adeguata protezione che impedisse di raggiungere con gli arti la zona pericolosa della macchina. Nel rigettare l'appello proposto dall'imputato, confermando la sentenza di condanna di primo grado, la Corte dorica, accreditando le dichiarazioni rese dal teste M. (tecnico della prevenzione), ha affermato che l'infortunio si era verificato per un malfunzionamento della pressa, cagionato verosimilmente da una cattiva o non corretta manutenzione del macchinario; non era invece stata fornita dal G.R. la prova del suo assunto, teso a dimostrare che nella specie l'infortunio si era verificato per caso fortuito; a sostegno di tale assunto la Corte di merito richiama la deposizione del teste a discarico A., tecnico della manutenzione dei macchinari, il quale aveva ammesso che la macchina funzionava quando ancora il riparo non era completamente chiuso. Sono state disattese dalla Corte territoriale anche le ulteriori argomentazioni difensive relative al comportamento della persona offesa, che secondo l'appellante doveva giudicarsi come abnorme (in quanto l'A.G. era stato adeguatamente formato e informato dei rischi connessi all'operazione, ma aveva disatteso le istruzioni a lui impartite), a fronte del fatto che le prove raccolte - ed in specie la testimonianza della persona offesa - non consentono di ravvisare alcuna abnormità.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il G.R., deducendo due motivi di lagnanza.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla responsabilità dell'imputato, sotto diversi profili. Dopo avere ribadito che l'A.G., in occasione dell'infortunio, aveva violato la procedura prevista per l'operazione di stampaggio su pressa, il deducente evidenzia come la Corte di merito abbia mal interpretato le dichiarazioni del teste M., secondo il quale l'infortunio si era bensì verificato per un malfunzionamento della macchina, ma quest'ultimo - secondo il teste - non era necessariamente correlato a una carenza nella manutenzione del macchinario stesso, potendo essere legato a difetti tecnici, o a una svista, o ad altre cause rimaste imprecisate. A fronte di siffatta incertezza sulle cause dell'incidente, dovevano essere prese in considerazione le dichiarazioni del teste a discarico A., responsabile della manutenzione delle macchine, che secondo quanto da lui affermato veniva puntualmente eseguita; peraltro tali dichiarazioni sono confermate dalla scheda manutenzioni relativa alla pressa, in base alla quale risulta che la manutenzione veniva eseguita settimanalmente e addirittura era stata effettuata il giorno prima dell'incidente. Non si vede allora a che titolo, prosegue il ricorrente, il G.R. debba essere chiamato a rispondere dell'accaduto per negligenza, imprudenza o imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Il deducente conclude pertanto che l'accaduto si era verificato per un caso fortuito, o comunque per una causa non prevedibile da parte dell'imputato: il teste a discarico P., il quale aveva spesso operato su quella macchina (e delle cui dichiarazioni la Corte dorica non ha tenuto alcun conto), ha tra l'altro negato di essersi mai accorto del malfunzionamento di che trattasi, ed anzi la macchina a suo dire partiva sempre circa un secondo dopo la chiusura della protezione. Inopinatamente, la Corte di merito ha invece ritenuto attendibile la persona offesa, la quale pure aveva cambiato versione dei fatti nel corso del tempo in ordine alla dinamica dell'accaduto. In definitiva, conclude il ricorrente, il G.R. é stato condannato in base a un convincimento che ha posto a suo carico una sorta di responsabilità oggettiva dell'accaduto.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al comportamento colpevole del lavoratore nella causazione del sinistro: comportamento che la Corte dorica ha ritenuto esente da colpe, sebbene sia stato accertato (attraverso la deposizione del teste Z.S.) che egli aveva ricevuto le dovute istruzioni sul funzionamento e sulle procedure relative alla pressa. Secondo il deducente, si é al cospetto di un comportamento abnorme del lavoratore, in quanto del tutto imprevedibile e insuscettibile di controllo da parte del datore di lavoro.

 DIRITTO

 1. Il primo motivo di ricorso é fondato e assorbente. E' noto che, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto. Il principio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 38343del 24/04/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261106), é stato fra l'altro richiamato in relazione a una fattispecie (Sez. 4, n. 33749del 04/05/2017, Ghelfi, Rv. 271052) in cui la S.C. ha ritenuto logicamente fallace, perché espressione di un ragionamento "circolatorio", la ricostruzione del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro, consistita nell'omessa manutenzione di una macchina stampatrice, e le lesioni gravi da schiacciamento della mano occorse al lavoratore intento alla manutenzione determinate dal mancato azionamento del microinterruttore di blocco della rotazione del rullo portacliché, per effetto della rottura della linguetta metallica di attivazione, non avendo il giudice di merito chiarito le ragioni di tale rottura, la tipologia degli interventi di manutenzione omessi e se la loro esecuzione sarebbe stata in grado di evitare il malfunzionamento del dispositivo di sicurezza. Il caso, per certi versi simile a quello che ne occupa, suggerisce tuttavia una verifica che si estenda dal profilo squisitamente causale - mercé l'indagine sul giudizio controfattuale e sul comportamento alternativo che ci si doveva attendere dal G.R. - alla stessa conoscibilità, prevedibilità ex ante e prevenibilità del rischio da parte dell'imputato, passando per le peculiarità che caratterizzano il caso di specie. Orbene, riassuntivamente, la Corte dorica articola al riguardo una motivazione affatto carente, in quanto perviene apoditticamente all'affermazione di responsabilità del G.R. attraverso i seguenti tre passaggi: l'infortunio si é verificato per un malfunzionamento del macchinario; il malfunzionamento era dovuto a cattiva manutenzione della macchina; la cattiva manutenzione della macchina era, come tale, imputabile al datore di lavoro, ossia al G.R.. Tuttavia, dei suddetti tre passaggi, solo il primo risulta univocamente accertato, essendo certo e incontestato che il difetto insito nel macchinario (che si metteva in movimento prima che lo sportellino di protezione si chiudesse) rappresentasse oggettivamente uno scostamento rispetto alle corrette modalità di funzionamento di tale dispositivo di sicurezza, che avrebbe dovuto consentire che la macchina si mettesse in movimento solo dopo la chiusura dello sportellino. Sul fatto che tale malfunzionamento fosse dovuto a manutenzione, l'assunto della Corte distrettuale é assertivo, ma risulta contrastato dal contenuto della deposizione del teste di riferimento (M., tecnico della prevenzione): il quale, come correttamente osservato dal ricorrente, ha individuato la carenza di manutenzione come una tra le possibili cause del difetto, ma non come la causa esclusiva. Ed é corretto il ragionamento del ricorrente secondo il quale la Corte dorica si sarebbe dovuta confrontare con i dati offerti dal teste a discarico A. sulla regolarità delle manutenzioni del macchinario, dati riscontrati dalla scheda di manutenzione della macchina, in base alla quale risulta che addirittura la manutenzione venne effettuata anche il giorno prima. Ma, anche volendo ipotizzare che effettivamente vi fosse stato un difetto di manutenzione tale da impedire che venisse corretto il malfunzionamento del dispositivo di sicurezza, occorrerebbe poi - e siamo al terzo passaggio - accertare che di tale difetto di manutenzione debba rispondere il datore di lavoro. Per far ciò occorrerebbe però verificare se le eventuali carenze nella manutenzione del macchinario fossero conosciute o conoscibili da parte del G.R., nella sua qualità datoriale. Orbene, al riguardo la Corte territoriale nulla dice, contentandosi di porre a carico dell'imputato il difetto di manutenzione in quanto condotta omissiva ascrivibile al datore di lavoro. Eppure, risulta che egli avesse designato un responsabile per la manutenzione delle macchine (nella persona dell'A., chiamato a deporre come teste a discarico) e che fosse disponibile una scheda manutenzione indicante che tale operazione veniva eseguita con frequenza settimanale; non risulta, viceversa, che l'inconveniente al dispositivo di sicurezza alla base dell'Infortunio si fosse mai precedentemente verificato. Ora, non é esatto evocare nel caso di specie l'ipotesi del "caso fortuito", che rappresenta il fatto, imprevisto e imprevedibile, estraneo a ogni possibile riferibilità soggettiva; così come non é neppure corretto evocare il comportamento "abnorme" della persona offesa, alla luce del principio, affermato dalla sentenza a Sezioni Unite n. 38343/2014 (Espenhahn ed altri, c.d. sentenza Thyssenkrupp), in base al quale, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo, é necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia (negli stessi termini vds. anche Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 - dep. 2017, Gerosa e altri, Rv. 269603; cfr. in termini sostanzialmente identici Sez. 4, n. 15174 del 13/12/2017 - dep. 2018, Spina e altro, Rv. 273247); a fronte di ciò, é di tutta evidenza che nell'ambito di tale sfera di rischio rientrava anche la circostanza che l'operatore, nell'inserire gli elementi in plastica sotto la pressa, posizionasse la mano e il braccio all'interno di macchinari pericolosi. Ma, a parte tali profili, resta il fatto che la Corte dorica non ha argomentato, ma ha meramente asserito, che il presunto - e non dimostrato - difetto di manutenzione fosse tale da conclamare la responsabilità datoriale, senza alcuna disamina in ordine alla conoscibilità di tale difetto e, conseguentemente, alla concreta prevedibilità ex ante, da parte dell'odierno ricorrente, del verificarsi di un infortunio del tipo di quello occorso alla persona offesa, nonché alla possibilità di disporre un apposito intervento per prevenire ed evitare simili eventi, in presenza di compiti di manutenzione che risultavano comunque affidati a soggetto fiduciario appositamente individuato (l'A.) ed assolti con la dovuta frequenza; e non essendo emersi precedenti, analoghi episodi di malfunzionamento. 2. La sentenza impugnata va perciò annullata con rinvio alla Corte d'appello di Perugia per nuovo giudizio, nel quale la predetta Corte si atterrà ai principi dianzi ricordati.   

P.Q.M.  

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'appello Perugia. Così deciso in Roma il 20 febbraio 2020.