Diritto penale

Anche la falsificazione di un libro sociale non obbligatorio può configurare il delitto di bancarotta fraudolenta documentale

13 Gennaio 2020

La falsificazione di “libri sociali”, quali il libro soci, può rientrare nell’alveo punitivo dell’art. 216, comma 1, n. 2 Legge Fallimentare, qualora il documento abbia una ricaduta “contabile” e vada, dunque, ad incidere in concreto, direttamente ed immediatamente, sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione (Cassazione penale, Sez. V., 27.05.2019, n. 34146).

La Suprema Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi della annosa questione riguardante la rilevanza della falsificazione (e/o sottrazione e/o distruzione) del libro soci ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 R. D. n. 267/1942.

Nel caso in esame, era stato falsificato il libro soci della società dichiarata fallita Alfa S.r.l., con l’effetto di far figurare l’imputato come socio unico della medesima attraverso la simulazione di una cessione a suo favore delle quote sociali.

Giova precisare che per un primo periodo la giurisprudenza riteneva doveroso distinguere tra impresa individuale e impresa collettiva, ritenendo – per quest’ultima- che avrebbe assunto rilevanza penale la falsificazione di tutti i libri sociali per la stessa obbligatori, previsti dall’art. 2421 cod. civ. – e non solamente la alterazione dei libri o delle altre scritture contabili di cui all’art. 2214 cod. civ. .

Successivamente, si è ritenuto di dover escludere tout court dall’oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale societaria i libri sociali (art. 2421 cod. civ.), in quanto negli stessi sarebbero sempre rappresentati “fatti relativi all’organizzazione interna dell’impresa” e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari, salvo che la loro falsificazione incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione.

Secondo questo indirizzo ermeneutico, condiviso dalla pronuncia in commento, occorre guardare alla ratio della fattispecie incriminatrice, che mira a tutelare gli interessi dei creditori e della procedura concorsuale, e non tanto alla natura del libro e della documentazione oggetto di falsificazione (o di distruzione o di sottrazione).

Se il documento può essere funzionale alla ricostruzione del movimento degli affari ed alla ricostituzione del patrimonio caduto nella procedura concorsuale, la sua alterazione potrà configurare il delitto previsto e punito dall’art. 216, comma 1, n. 2 L. F. .

Irrilevante è pure la circostanza che il libro sociale o documento non sia obbligatorio per la società, poiché il reato in questione può avere ad oggetto materiale qualsiasi documento relativo alla vita dell’impresa che avrebbe potuto consentire, se non alterato, l’esame della gestione societaria.

Nel caso concreto, dalla falsificazione del libro soci -non obbligatorio per la fallita Alfa S.r.l. a socio unico, ma che è stato tenuto- è derivata la erronea identificazione, da parte dei creditori, dei soggetti proprietari della società (chiamati a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sociali, in caso di insolvenza della società, ex art. 2462, comma 2, cod. civ.)      

Il libro soci non ha avuto, dunque, una valenza circoscritta all’organizzazione interna dell’impresa, ma si è riverberata, in maniera immediata e diretta, sulla ricostruzione di tratti afferenti alla gestione d’impresa, non essendo irrilevante per i creditori l’identificazione dei soggetti proprietari, anche sotto il profilo della loro personale affidabilità patrimoniale.

Il dato ha assunto peculiare rilievo nel caso oggetto di analisi, in cui la società era una s.r.l. a socio unico (responsabile illimitatamente ai sensi del già ricordato art. 2462, comma secondo, cod. civ.).

 

SENTENZA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                 

SEZIONE QUINTA PENALE                        

              Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:             

Dott. VESSICHELLI  Maria       -  Presidente   -                    

Dott. BELMONTE     Maria Teres -  Consigliere  -                    

Dott. ROMANO       Michele     -  Consigliere  -                    

Dott. SCORDAMAGLIA Irene       -  Consigliere  -                    

Dott. MOROSINI     E. Mar -  rel. Consigliere  -                    

ha pronunciato la seguente:                                         

                     SENTENZA                                        

sul ricorso proposto da:

C.E., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 11/06/2018 della CORTE di APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dott.ssa Elisabetta Maria Morosini;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Di Leo Giovanni, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio in relazione alla bancarotta documentale. Inammissibilità nel resto;

udito il difensore, avv. Piermaria Corso, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di C.E. per i reati di cui all'art. 495-bis c.p. (capo B) e art. 367 c.p. (capo D), nonché per quello di bancarotta fraudolenta documentale, commesso in veste di liquidatore della Alfa s.r.l., società dichiarata fallita il 9 giugno 2011 (capo E).

Avverso la sentenza ricorre l'imputato, tramite il difensore, articolando tre motivi.

2.1 Con il primo eccepisce che il termine di prescrizione del reato di cui al capo B) sarebbe decorso in data 11 giugno 2018, quindi prima della pronuncia della sentenza di appello.

2.2 Con il secondo deduce inosservanza di legge in relazione al reato di cui all'art. 367 c.p. (capo D).

Il fatto storico, oggetto della falsa denuncia, dovrebbe essere inquadrato nel reato di sostituzione di persona e non in quello di truffa, come erroneamente ritenuto dai giudici di merito.

Se così fosse, allora non sarebbe configurabile una simulazione di reato, poiché il reato di sostituzione di persona in danno di G.L. è stato certamente commesso, mentre la falsità atterrebbe solo alla indicazione dell'autore.

2.3 Con il terzo motivo deduce violazione di legge in ordine agli elementi costitutivi del reato di bancarotta (capo E).

Secondo i giudici di merito C. si sarebbe sostituito a G.L. al fine di acquistare a nome di questi le quote sociali della Alfa s.r.l. di proprietà di F. e P..

Sostiene il ricorrente che la vicenda, così letta, non avrebbe dispiegato alcuna incidenza sul fallimento della società, né avrebbe arrecato pregiudizio alla massa dei creditori.non avrebbe nutrito interesse ad intestare fittiziamente al G. la carica di liquidatore e le quote sociali, considerato che egli non era il proprietario della società. Né la vendita delle quote sociali, bene estraneo alla massa fallimentare, potrebbe aver cagionato un pregiudizio alla massa fallimentare.

Difetterebbe inoltre l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta documentale, posto che le falsificazioni ricadrebbero sulle annotazioni presso il registro delle imprese e sul libro soci, documenti che non rientrano tra i libri e le scritture contabili come si ricava dagli artt. 2214 e 2421 c.c. .

Quanto alla mancanza delle scritture contabili per il periodo dal (OMISSIS) alla data del fallimento, si tratterebbe non di sottrazione ma soltanto di mancato aggiornamento, peraltro privo di offensività tenuto conto che, a seguito della cessione di ramo di azienda avvenuta il (OMISSIS) da parte dell'allora amministratore F.N., la società era ormai svuotata e C. non poteva neppure operare sui conti della società.

Infine il fallimento si sarebbe chiuso in bonis, perchè F. avrebbe concluso una transazione con la massa dei creditori.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile in ordine al primo motivo e infondato nel resto;

tuttavia deve essere rilevata di ufficio l'illegalità delle pene accessorie applicate ex art. 216 L. fall., u.c..

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Il termine di prescrizione del reato di culi al capo B) è maturato il (OMISSIS), quindi in data successiva alla pronuncia della sentenza impugnata.

Al tempo di prescrizione massima, pari a sette anni e sei mesi per il reato in rassegna (commesso il (OMISSIS)), occorre aggiungere, ai sensi dell'art. 159 c.p., comma 1, n. 3, il periodo di sospensione dal 14 novembre 2016 al 30 gennaio 2017 (giorni 77) dovuto a una richiesta di rinvio su istanza della difesa (come indicato anche nella sentenza di primo grado, pag. 2).

L'inammissibilità del ricorso in relazione a tale capo della sentenza, preclude il rilievo della prescrizione maturata nel presente grado di giudizio.

Invero, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, in casi di sentenza cumulativa, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per alcuni dei reati in contestazione possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per il reato in relazione al quale i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per detto reato, su cui si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 2017, Aiello, Rv. 268966).

Il secondo motivo è infondato.

Il fatto oggetto della simulazione di reato di cui al capo D) è, in sintesi, il seguente: C. presenta una denuncia in cui espone che presso il suo studio era giunto un soggetto che, presentatosi come G.L., aveva manifestato l'intenzione di acquistare le quote della società (OMISSIS) s.r.l., la cessione si era perfezionata, il corrispettivo era stato versato; solo dopo il fallimento della società, egli aveva appreso dal curatore che la persona presentatasi come G.L. in realtà utilizzava una carta di identità falsa (cfr. pagg. 14 e 15 sentenza impugnata).

Concordemente con quanto sostenuto dal ricorrente e in perfetta aderenza con l'editto accusatorio, il fatto storico denunciato deve essere inquadrato nel reato di sostituzione di persona e non in quello di truffa, come invece ritenuto dai giudici di merito, giacchè difetta in toto, nella descrizione del fatto, il conseguimento di un profitto ingiusto.

Ciononostante non si può pervenire alla conclusione, indubbiamente suggestiva, prospettata dal ricorrente, secondo cui il reato non sussiste perchè il fatto denunciato è oggettivamente vero sia che lo si addebiti all'imputato, come ritenuto dalle pronunce di condanna, sia che lo si addebiti ad ignoti in base alla tesi difensiva (sul punto v. Sez. 1, n. 27884 del 16/04/2014, Stoica, Rv. 262488 - 01).

In realtà il fatto storico denunciato non è mai accaduto: nessuno si è presentato all'imputato come G.L., chiedendo di acquistare le quote della (OMISSIS) s.r.l..

Nessuno, né l'imputato né ignoti, ha posto in essere la condotta denunciata, sussumibile nella previsione dell'art. 494 c.p. .

E' infondato anche il terzo motivo.

La ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito, sulla scorta di argomentazioni immuni da vizi logici e quindi insindacabili in questa sede, è la seguente:

- dopo essere riuscito ad ottenere la disponibilità di una "firma elettronica" a nome di G.L., il (OMISSIS) C. gli intesta fittiziamente le quote della (OMISSIS) s.r.l. e gli trasferisce anche la carica di liquidatore da lui ricoperto sino a quel momento. In tal modo l'imputato falsifica sia il verbale di assemblea del (OMISSIS) laddove attesta un passaggio di quote totalmente simulato, sia il libro soci nella parte relativa alla annotazione dei trasferimento delle quote sociali;

- il C., su cui incombe il relativo onere dato che la dismissione della carica è meramente fittizia, omette di tenere la contabilità per il periodo dal (OMISSIS) fino alla data del fallimento.

Le questioni giuridiche sollevate dal ricorrente, depurate dalle considerazioni in fatto insuscettibili di scrutinio in questa sede, concernono la riconducibilità del libro soci all'oggetto della previsione tipica della bancarotta fraudolenta documentale e la esatta enucleazione dei caratteri del dolo nel reato in rassegna.

Sotto il primo profilo, il ricorrente deduce che l'art. 216 L. Fall., comma 1, n. 2, punisce la condotta di falsificazione dei libri o delle altre scritture contabili e che dal novero di libri e scritture contabili (art. 2214 c.c.) esulano i libri sociali.

5.1 Sul tema dell'oggetto materiale del reato si contrappongono due orientamenti.

5.1.1 Secondo il primo, più risalente, occorre distinguere tra impresa individuale e impresa collettiva. Mentre, infatti, nel caso di bancarotta documentale dell'imprenditore individuale vengono in considerazione i libri o le altre scritture contabili previste dall'art. 2214 c.c., per ciò che concerne le società commerciali - per effetto dell'implicito richiamo operato dall'art. 223 L. Fall., tramite la previsione di punibilità dei fatti di bancarotta fraudolenta commessi dagli amministratori, direttori generali e sindaci di società dichiarate fallite - vengono in rilievo tutti quei libri che la legge rende per esse obbligatori. Nell'ipotesi di società cooperativa a responsabilità limitata, pertanto, oltre ai libri ed alle scritture contabili previste dall'art. 2214 c.c., vengono in considerazione, grazie al richiamo dell'art. 2516 c.c., i libri sociali obbligatori previsti dall'art. 2421 c.c. per le società per azioni, fra i quali il libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio di amministrazione (Sez. 5, n. 10810 del 20/10/1993, Virigili, Rv. 196305 - 01).

5.1.2 Il secondo orientamento, invece, ha escluso dall'oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale societaria (art. 216 L. Fall., comma 1, n. 2 e art. 223 L. Fall., comma 1) i libri sociali, specificamente disciplinati dall'art. 2421 c.c., che rappresentano fatti relativi all'organizzazione interna dell'impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari, salvo che la loro falsificazione incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione (Sez. 5, n. 182 del 23/11/2006, dep. 2007, Piovesan). Ciò sul rilievo che: "La bancarotta fraudolenta documentale mira alla tutela degli interessi creditori e della procedura, proscrivendo l'alterazione della rappresentazione contabile dei dati di gestione. Pertanto l'oggetto materiale del reato è rappresentato dal compendio contabile: la norma, con il richiamo ai "libri o le altre scritture contabili" si collega direttamente alla disposizione dell'art. 2214 c.c. che impone all'imprenditore la tenuta del libro giornale e del libro degli inventari, nonchè delle scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa. Non vi è alcun dubbio, seguendo il tracciato letterale e l'oggetto della protezione assicurata dalla norma, che siffatto corredo si caratterizzi per la sua portata "contabile", con esclusione dei cd. "libri sociali" che rappresentano fatti di organizzazione interna all'impresa e non il possibile tramite della ricostruzione del movimento degli affari. Che i "libri sociali" rappresentino un novero distinto ed autonomo rispetto ai "libri contabili" può dedursi dalla stessa lettera della norma: il legislatore ha fornito propria disciplina ai "libri sociali" nell'art. 2421 c.c., distinta ed ulteriore rispetto a quelli "contabili" ("oltre i libri e le altre scritture contabili prescritti dall'art. 2214 c.c. la società deve tenere ecc"). La falsificazione dei "libri sociali", quindi, risulta esterna alla sfera punitiva dell'art. 216 L. Fall., comma 1, n. 2 (e art. 217 L. Fall., comma 2), a condizione - ovviamente - che l'alterazione del vero (o la sottrazione, distruzione) non incida direttamente ed immediatamente sulla rappresentazione contabile dei fatti di gestione" (Sez. 5, n. 182 del 23/11/2006, dep. 2007, Piovesan, in motivazione).

5.1.3 Questa seconda opzione ermeneutica si lascia preferire, anche alla luce delle ragioni esposte nella sentenza Piovesan, appena citata, laddove confuta espressamente l'argomento letterale su cui si imperniava la soluzione opposta, sposata dalla sentenza Virgili: l'art. 223 L. Fall., comma 1, dispone un rinvio formale e complessivo "ad alcuno dei fatti preveduti" dall'art. 216, senza una distinzione correlata all'oggetto materiale delle fattispecie. "Anche da questa prospettiva può rilevarsi che la lettera della norma (l'art. 216 L. Fall., comma 1, n. 2) precisa attentamente che i libri e le altre scritture dedotte dal precetto debbono assumere una effettiva funzione "contabile", nel momento in cui il divieto è rivolto verso l'ostacolo alla ricostruzione del movimento degli affari ed alla ricostituzione del patrimonio caduto nella procedura concorsuale (evento conseguente all'inquinamento vietato dalla legge). Tutela che risulta inconferente per i documenti sociali".

Sulla scia della sentenza Piovesan si colloca una recente pronuncia che ha riconosciuto la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale in ipotesi di occultamento del libro delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale previsto dall'art. 2421 c.c., comma 1, n. 5, (Sez. 5, n. 4134 del 22/09/2016, dep. 2017, Rv. 269475 - 01).

5.1.4 In definitiva il profilo dirimente è rappresentato non dalla natura individuale o collettiva dell'impresa ma dalla incidenza in concreto della condotta sulla ricostruzione del patrimonio e degli affari.

5.2 Nella specie viene in rilievo una condotta di falsificazione del libro soci, con la quale si è fatto figurare G.L. come socio unico della (OMISSIS) s.r.l., attraverso la simulazione di una cessione a suo favore delle quote sociali.

Il D.L. n. 185 del 2008, art. 16, conv. nella L. n. 2 del 2009, nel modificare l'art. 2478 c.c., ha soppresso l'obbligo per le società a responsabilità limitata di tenere il libro dei soci. Tale soppressione è peraltro conseguenza del mutato regime di pubblicità della composizione della compagine sociale introdotto nell'occasione dal legislatore e che prevede ora l'annotazione nel registro delle imprese delle iscrizioni che in precedenza dovevano essere effettuate nel menzionato libro soci.

E' comunque incontroverso che la obbligatorietà o meno di un libro o scrittura contabile non rileva ai fini del reato di cui all'art. 216 L. Fall., comma 1, n. 2), poichè il reato in questione può essere realizzato su qualsiasi documento relativo alla vita dell'impresa e ciò in sintonia con la ratio dell'incriminazione, incentrata sull'effettiva e non solo formale possibilità di conoscere i tratti della gestione d'impresa, tenendo conto di qualsiasi strumento che avrebbe potuto consentire, qualora fosse stato regolarmente tenuto o conservato, l'esame della gestione, diversamente da quanto previsto per l'ipotesi di bancarotta semplice documentale, in relazione alla quale l'oggetto del reato è individuato nelle sole scritture obbligatorie (Sez. 5, n. 44886 del 23/09/2015, Rossi, Rv. 265508 - 01).

5.3 Poste tali premesse, nel caso in esame la falsificazione del libro soci - che non era obbligatorio tenere, ma che è stato tenuto - non ha avuto una valenza circoscritta all'organizzazione interna dell'impresa ma si è riverberata, in maniera diretta ed immediata, sulla ricostruzione di tratti afferenti alla gestione d'impresa.

In una società a responsabilità limitata, soprattutto se di piccole dimensioni quale quella in rassegna, il libro soci fornisce una rappresentazione dell'identità della società, indicandone la proprietà. Per i creditori non è irrilevante la identificazione dei soggetti proprietari, anche sotto il profilo della loro personale affidabilità patrimoniale.

Il dato assume peculiare valenza nel caso di socio unico, considerato che, a norma dell'art. 2462 c.c., comma 2, in caso di insolvenza della società, per le obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui l'intera partecipazione è appartenuta ad una sola persona questa risponde illimitatamente quando i conferimenti non siano stati effettuati secondo quanto previsto dall'art. 2464 c.c. o fin quando non sia stata attuata la pubblicità prescritta dall'art. 2470 c.c. Il che dimostra come la identificabilità del socio unico e la sua rispondenza patrimoniale siano rilevanti sotto il profilo della responsabilità.

Argomenti di conferma si traggono da una pronuncia in cui la Corte di legittimità, pur occupandosi di un'ipotesi di occultamento del libro soci in data anteriore al D.L. n. 185 del 2008, ha affermato che l'art. 216 L. Fall., comma 1, n. 2, punisce la sottrazione, distruzione e falsificazione dei libri e delle scritture (...) a tutela della procedura concorsuale e del soddisfacimento degli interessi dei creditori, cui l'ostensibilità del patrimonio del debitore - e quindi la sua ricostruibilità - è strumentale (Sez. 5 n. 26458 del 04/05/2015, Bernagozzi, in motivazione).

Alla luce delle considerazioni esposte è corretta l'affermazione del Tribunale, recepita nella sostanza dalla Corte di appello, per cui nel caso in esame: "la possibilità concreta, da parte di terzi creditori, di venire a conoscenza delle eventuali variazioni della compagine sociale non è ininfluente ai fini della tutela del loro diritto di credito, giacchè da tali variazioni possono verosimilmente derivare modificazioni in ordine alla entità e qualità del patrimonio aggredibile" (pag. 14 sentenza Tribunale).

L'indagine si sposta allora sull'elemento soggettivo.

6.1 Al riguardo è opportuno rammentare che la bancarotta fraudolenta documentale di cui all'art. 216 L. Fall., comma 1, n. 2, prevede due fattispecie alternative: quella di sottrazione, distruzione o falsificazione dei libri e delle altre scritture contabili (cui è equiparata l'omessa tenuta), che richiede il dolo specifico; quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi e richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).

6.2 Il caso in esame concerne la prima ipotesi, connotata dal dolo specifico.

Le sentenze di merito, quella di primo grado più efficacemente da quella di appello, ricostruiscono correttamente la fattispecie oggetto del processo e individuano il dolo specifico vuoi nello scopo di procurare a sè l'ingiusto profitto di andare esente dalla responsabilità illimitata di cui all'art. 2462 c.c., comma 2, sottraendosi agli adempimenti di cui agli artt. 2464 e 2470 c.c. vuoi in quello di recare pregiudizio ai creditori, impedendo l'identificazione del socio unico (pag. 15 sentenza Tribunale, pagg. 16 e 17 sentenza di appello).

6.3 Nella medesima prospettiva deve essere letto l'atteggiamento soggettivo che anima la condotta omissiva, contestata con riferimento alla mancanza integrale della documentazione contabile dal (OMISSIS) al fallimento.

Si tratta di una diretta conseguenza della intestazione fittizia delle quote sociali e della veste di liquidatore, ispirata dal medesimo disegno e dunque riconducibile al medesimo animus.

Gli ulteriori profili di doglianza sono inammissibili perchè vertenti o su valutazioni del materiale probatorio o circostanze irrilevanti (causazione fallimento, transazione postfallimentare).

Il collegio deve rilevare di ufficio l'illegalità delle pene accessorie ex art. 216 L. Fall., u.c., applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata (art. 20 c.p.).

8.1 Con sentenza n. 222 del 05/12/2018 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 216 L. Fall., u.c., nella parte in cui dispone: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa", anzichè: "la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni".

8.2 La "sostituzione" della cornice edittale, operata dalla sentenza n. 222 del 2018, determina l'illegalità delle pene accessorie irrogate in base al criterio dichiarato illegittimo, indipendentemente dal fatto che quelle concretamente applicate rientrino comunque nel "nuovo" parametro, posto che il procedimento di commisurazione si è basato su una norma dichiarata incostituzionale (Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, Jazouli; Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon; Sez. U. n. 6240 del 27/11/2014, dep. 2015, B., in motivazione).

L'illegalità sopravvenuta delle pene accessorie in rassegna impone l'annullamento sul punto della sentenza impugnata, con rinvio al giudice di merito che provvederà alla determinazione della durata delle stesse in base ai criteri di cui all'art. 133 c.p., secondo la decisione assunta dalle Sezioni Unite all'udienza del 28 febbraio 2019 (ric. Suraci +2), diffusa con informazione provvisoria n. 4 del 2019.

Per il resto il ricorso va nel complesso rigettato, con la precisazione che, in ordine al capo B), la declaratoria è quella di inammissibilità del motivo proposto, per manifesta infondatezza (cfr. sopra paragrafo 2).

 P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie ex art. 216 L. Fall., u.c., con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2019.